A CLOCKWORK ORANGE (ARANCIA MECCANICA) del 1971 di Stanley Kubrick

“Mentre camminavamo lungo la baia del cemento abitato, ero calmo di fuori, ma dentro pensavo: allora adesso chi comanda è Georgie. Decide cosa si deve fare, cosa non fare, e Dim è il suo tonto digrignante bulldog. E d’un tratto capii che il pensare è per gli stupidi, mentre i cervelluti si affidano all’ispirazione, e a quello che il buon Bog manda loro. La musica mi venne in aiuto. C’era una finestra aperta con uno stereo, e seppi subito che cosa fare”. Uno dei tanti pensieri che balenano nella mente di Alex il bello nel corso di questo oramai storico e leggendario film estremo, sfornato quasi 5 decenni fa dal genio di Stanley Kubrick (che ringrazieremo per l’eternità) e tratto dal romanzo omonimo di Anthony Burgess del 1962, destinandolo per nostra fortuna alla storia del cinema ma non solo. Probabilmente nessun film ha influenzato la cultura di massa, prima di tutto decine di cineasti dagli anni ’70 in poi, quanto questa pellicola. I meriti sono molteplici. Visione dispotica accattivante, dialoghi creati ad arte, location raffinate ed eleganti, torture memorabili, riprese perfette, costumi innovativi, musiche immortali, personaggi e idee brillanti presenti in ogni secondo e fotogramma della pellicola, accompagnano una sceneggiatura specchio non dell’epoca ma dei decenni futuri e ahimè attuali. Ogni evento di cronaca nera e giornalistica, sembra, oggi più di allora, essere partorita da questa pellicola. Invasioni domestiche, violenza giovanile, ricondizionamenti mentali mediatici e sporca politica che usa, senza vergogna, persone tutti i giorni come oggetti per raccogliere qualche voto, al fine di garantirsi un posto in paradiso (speriamo all’inferno).
Londra, in un futuro indefinito: Alex, appassionato cultore della musica di Beethoven, è il capo di un quartetto di giovani teppisti abituati a commettere violenze di ogni tipo. Alla lunga, esasperati dal suo atteggiamento dispotico, i suoi compagni lo tramortiscono e lo lasciano nelle mani della polizia. Condannato e imprigionato, Alex si vede offrire una chance di libertà: in cambio, dovrà sottoporsi a una terapia sperimentale chiamata “cura Ludovico” …..
Alex De Large è un vero animale azionato da meccanismi ad orologeria, per riprendere il significato del titolo, pronto a scattare senza freni per liberare l’anima selvaggia che lo pervade. Tuttavia adora la bella vita, ma giorno per giorno non alla lunga distanza. In questo contesto grottesco, dove il degrado, in versione teatrale, è ovunque, Alex il bello, proprio come un oggetto (l’orologio), finirà nelle grinfie della politica volenterosa di risolvere il problema dell’ultra violenza dilagante, diventata ormai impossibile da frenare e contenere. Una violenza da lei stessa creata! Straordinaria l’interpretazione di Malcolm McDowell nei panni del drugo Alexander “Alex” De Large, il quale rischiò addirittura di perdere la vista nella famosa scena della ‘visione obbligatoria’. Una pellicola impreziosita in maniera prepotente da una colonna sonora intelligentemente affidata a musiche classiche e per questo immortali, destinate ad entrare in simbiosi perfetta con le sequenze mostrate, entrate di prepotenza nell’immaginario collettivo in maniera stabile. Arancia meccanica, titolo italiano (è troppo in tutto e impossibile da sintetizzare senza scrivere ovvietà), è da vedere e godere più volte fino allo sfinimento, preferibilmente in lingua originale, accompagnando la visione assolutamente con un robusto bicchiere di latte + ! VALUTAZIONE 5/5

H.E.

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