A SNAKE OF JUNE (Rokugatsu no hebi) del 2002 di Shin’ya Tsukamoto

Prendete le opere più estreme e controverse di Lynch e Cronenberg, amalgamatele all’erotismo dei migliori pinku eiga del secolo scorso e spruzzateci sopra il nevroticismo pulsante del cinema più sperimentale … ed ecco il risultato: A SNAKE OF JUNE! 
Tokyo, durante la stagione delle piogge. Rinku, una donna bellissima e consulente telefonica per la prevenzione al suicidio, vive una relazione abulica e priva di stimoli e passione sessuale con il marito, bruttino e più vecchio di lei. Un giorno però qualcosa cambia. In forma anonima riceve a casa una busta con delle foto di lei mentre si masturba con passione sfrenata. L’autore è un fotografo artista decadente, che le ha conosciuto, in forma anonima, nella chat telefonica dedita agli aspiranti suicida da salvare. Iguchi, il nome del fotografo, la ricatta, costringendola ad assecondare le sua passioni da voyeur, obbligandola a passeggiare con abiti succinti lungo le strade di Tokyo indossando un vibratore radiocomandato. Inizia così un lungo tira e molla che finirà per inoltrarsi su territori sconosciuti, passionali e che finiranno per incrociare presente, passato e situazioni illogiche con protagonisti Iguchi, Rinku ed il marito di lei …….<br>Girato completamente in un bianco e nero filtrato con un blu elettrico, A SNAKE OF JUNE rappresenta probabilmente il vertice assoluto del cinema di Shinya Tsukamoto, maestro indiscusso del ‘cyberpunk nipponico’ e tra gli autori giapponesi contemporanei più talentuosi, capace di narrare debolezze, paure e virtù umane attraverso visioni distorte, frenetiche e surreali. Una pellicola dalla durata breve, quasi fosse un pinku eiga, che riesce ad amalgamare dramma, erotismo, weird e visioni oniriche ricche di simbolismi e metafore della vita, in maniera sublime e poderosa come solo i geni del cinema sono riusciti a realizzare. Se la prima parte potrebbe rivelarsi ‘convenzionale’ nella struttura e nella forma, mostrandosi come una storia di ricatto, erotismo e voyeurismo perverso, la seconda si evolve come farebbe un bruco in un farfalla, scavando prima e scioccando amaramente poi. Dove due personaggi fino ad allora diversi e distanti tra loro finiranno per fondersi, dove la malattia di lei diventerà il cuore nero del film finalmente affrontato di petto ed il cerchio finalmente si chiuderà. Non prima di aver goduto, non poco, di visioni eccelse arricchite da fotogrammi morbosi dall’erotismo straripante, dove la bellezza naturale di Asuka Kurosawa (l’attrice che interpreta Rinku) finirò per diventare magnetica e ossessiva per lo spettatore quasi quanto quella di Iguchi.
Se la pioggia incessante rappresenta una costante della vita, il tempo che scorre inevitabilmente, la pellicola nasconde al suo interno molteplici significati. Dal rapporto di coppia costretto ad affrontare il male vero, all’accettazione della malattia, alla passione sessuale destinata ad affievolirsi nel tempo, ai rimorsi presenti nella coppia, incapace questa di comunicare e soprattutto di liberarsi completamente dalle leggi morali presenti nel nostro subconscio che ne frenano di conseguenza anche la passione sessuale ed affettiva. Pellicola da vedere e rivedere e all’infinito, in quanto la perfezione di alcune scene (di lei che si masturba sotto la pioggia o di lui (marito/fotografo) costretto ad allargare le proprie visioni della vita in modalità weird) pone questa pellicola tra le più significative del nuovo millennio. VALUTAZIONE 5/5

H.E.