CHARLIE SAYS (2019) di Mary Harron




Sognatrici, vittime e assassine. Cosi sono sintetizzate, nel poster originale di questo film, Susan Atkins, Patricia Krenwinkel e Leslie Van Houten, le tre famigerate esecutrici (assieme a Tex Watson) degli omicidi avvenuti nell’estate del 1969 a Cielo Drive, ricco e lussuoso quartiere di Los Angeles. La storia afferente i brutali omicidi di Sharon Tate (incinta e moglie del noto regista Roman Polanski), dei suoi amici di serata (9 agosto 1969) e della coppia composta da Leno LaBianca e sua moglie Rosemary (10 agosto dello stesso anno), viene vissuta, narrata ed analizzata da un nuovo punto di vista controverso. Ovvero quello di Leslie Van Houten, sollecitata da una visita in carcere di una psicologa intenzionata a scalfire l’indottrinamento mentale subito da lei e dalle sue due amiche dal fanatico e folle Charlie Manson, dimostrando in parte che anche loro, nonostante l’ingiustificabile gesto criminale, possono essere definite delle ‘vittime’. Leslie, unitasi alla ‘famiglia Manson’ solo l’anno precedente, rivive quei mesi che l’hanno portata dall’essere una ragazza in fuga dalla propria famiglia a braccio armato di una serie di omicidi efferati, nati e esplosi esclusivamente per ripicca da parte di Manson, aspirante (tra le altre cose) artista musicale, nei confronti del produttore Terry Melcher (la villa di Sharon Tate era stata la sua fino a qualche mesa prima), colpevole di non averlo scritturarlo per la Columbia Records. <br>Questa pellicola, basata sui romanzi ‘The Family: The Story of Charles Manson’s Dune Buggy Attack Battalion’ di Ed Sanders e ‘The Long Prison Journey of Leslie Van Houten’ di Karlene Faith, tende sin da subito a demolire la figura misteriosa e (inspiegabilmente) affascinante di Charlie Manson, attraverso un percorso inverso di indottrinamento ad opera della psicologa (appena laureata nel film) Karlene Faith, decisa a scalfire con decisione la visione perversa, malata ed utopistica inculcata nella mente delle tre ragazze sopra citate (ed in particolare della protagonista Leslie, interpretata discretamente nel film da Hannah Murray) da parte del criminale Manson. 
Tra visioni di orge succulente e visioni estreme quanto banali da parte di Manson, in una ‘comune’ fatiscente, ai danni dei suoi adepti, principalmente ragazze, costretti a cercare nelle immondizie qualcosa per non morire di fame, seguiamo le vicende post crimini (siamo nel 1972 e quest’ultimi erano avvenuti nel 1969) e continui flashback che inizieranno nel 1968 per culminare proprio con i brutali omicidi citati in precedenza, atto finale e lapidario che finirà per aprire forse la mente e rendere consapevoli i mandanti di questo atto di crudeltà becero (Sharon era incinta ma questo come sappiano non ha fermato Tex e le ragazze di Charlie per dilaniarne il corpo) e vigliacco. 
Atmosfere di fine 60s e primi anni 70 rese ottimali attraverso costumi, musiche ed estetica libertina, mentre le interpretazioni appaiono non sempre sul pezzo, in particolare (non era facile, su questo non ci piove) quella di Matt Smith nel ruolo di Charlie, bravo nella parte iniziale ma poco incisivo e folle nella seconda. 
Dopo svariati film, telefilm, libri e documentari (a breve arriverà anche la pellicola di Quentin Tarantino ‘Once Upon a Time in… Hollywood’) questo lavoro della regista di AMERICAN PSYCHO non porta grandissime novità alla vicenda. Se non quelle di mettere in risalto riabilitazione e ‘diritto’ dei colpevoli materiali, ed allo stesso tempo di accentuare l’umiliazione subita da Manson (e di conseguenza la sua chiara consapevolezza di essere un artista mediocre) capace però di plasmare ed influenzare con forza le deboli menti di ragazze come Leslie (reduce quest’ultima da un’adolescenza disastrata e piena di amarezze). VALUTAZIONE 3/5

H.E.