AUDITION (オ ー デ ィ シ ョ ン) del 1999 di Takashi Miike

‘Questo filo può tagliare facilmente carne e ossa’!!
Nella filmografia titanica di Takashi Miike (regista con più di cento film realizzati in nemmeno 30 anni di carriera), AUDITION (tratto dal romanzo omonimo di Ryū Murakami, autore anche del celebre Tokyo decadence) appare come uno spartiacque fondamentale per il suo stile cinematografico e per tutto il cinema giapponese a cavallo tra i due secoli, influenzando anche e pesantemente buona parte del cinema occidentale tanto amato e citato da Miike nel corso di questo suo capolavoro. La capacità di fondere più generi, di analizzare e presentare con colma e intelligenza sarcastica ma acuta i protagonisti delle sue pellicole (alla David Lynch), senza rinunciare mai ad un appagamento visivo per chi ama l’estremo e la violenza più becera, hanno permesso al regista nipponico di fare breccia nel cuore di tutti gli appassionati sparsi nel mondo del cinema di confine, ponendolo così ad autore di culto amato, stimato ed ammirato come pochi altri.<br>Shigeharu Aoyama è un uomo di mezza età rimasto vedovo dopo la morte per malattia della moglie. Dopo sette anni, sollecitato anche dal figlio di cercarsi una nuova compagna, l’amico e produttore cinematografico Yasuhisa Yoshigawa gli propone di organizzare un’audizione, per un film che non verrà mai realizzato, con il solo scopo di far incontrare più ragazze ad Aoyama al fine di scegliere la sua nuova sposa. Ad attirare la sua attenzione, su 30 candidate, vi è la figura dell’esile, timida e misteriosa ventiquattrenne ed ex ballerina Asami. Nonostante non ispiri fiducia al suo collega Yoshigawa, Aoyama finisce per invaghirsi di lei, iniziando a frequentarla. Dopo un’apparente sintonia tra i due, qualcosa di strano accade. Lei scompare, costringendo Aoyama a scavare nel passato poco chiaro e misterioso della ragazza, finendo in un vortice che mescola realtà e incubi terrificanti, fino a quando ……
AUDITION è una pellicola piacevolmente complessa, contorta e che permette allo spettatore di decidere cosa, di quanto visionato, sia reale oppure no. Una pellicola che inizia come un dramma, sfiorando solo per poco la commedia sentimentale, si trasforma poi in un’analisi spietata dell’inconscio umano, attraverso una duplice visione (femminile e maschile) per sfociare poi, nella ultima parte, nell’horror più estremo e scioccante. La capacità di scavalcare generi senza perdere mai la bussola e le redini della storia, permette a Miike di mantenere sempre viva la fiamma della tensione, alimentata da frame improvvisi (esempio lampante quando Asami curva che sorride quando squilla il telefono mentre al suo fianco vediamo in un inquietante sacco che si muove) che con calma olimpionica preannunciano un imminente caos. Saranno proprio le immagini flash improvvise, con lingue e dita amputati, immaginate da Aoyama, ad anticipare l’orrore apocalittico della parte finale. Una purificazione estrema attraverso il dolore fisico quasi punitivo nei confronti del maschio da parte della donna, costretta dalla società nipponica ad essere considerata un oggetto da scegliere come ad un mercato della carne (l’audizione e provino per la scelta dell’attrice di un film che non vedrà mai la luce). Un male interiore, da parte della bella ed inquietante Asami, alquanto feroce e figlio di uno sviluppo psicosessuale stravolto in tenera età, costringendola in futuro a trovare solo nella sofferenza estrema di altri uomini, come il suo aguzzino, lo sfogo ideale e unica verità finale per trovare la quiete della propria anima tormentata (attraverso un rituale di torture aberranti). Se per lei l’uomo è solo da punire in maniera estrema, per Aoyama la figura femminile è figlia di un sistema patriarcale e maschilista ben radicato nella società giapponese, visionato attraverso i propri sogni ed incubi comprensivi di tutte le figure femminili presenti nella sua vita passata e presente (la moglie defunta, Asami, la collega di lavoro innamorata di lui, la ragazza di suo figlio, la domestica). Il dolore visto come unica fonte di verità per Asami, al contrario delle buone maniere, stimolante da una solitudine meschina, non meno false delle bugie della timida ragazza scelta nel provino da parte di Aoyama. Ricca di personaggi e scene cult entrate di diritto nella storia del cinema (quella finale con il filo di ferro è da vedere e rivedere fino allo sfinimento), non solo estremo, AUDITION è un’opera d’arte cinematografica tra le più eccelse mai realizzate, in grado di abbracciare visioni oniriche e crude realtà senza cadere mai nella banalità o nel ‘già visto’. Un’opera unica e inimitabile per fortuna incapace di scendere a compromessi, principalmente per compiacere quel grande pubblico incapace vedere di accettare dolore, violenza e solitudine come parte integrante della propria vita! ‘Non vorrei sembrarti sfacciata … …ma aspettavo con ansia la tua telefonata’ ….. per (s)fortuna è arrivata 😀 !!! VALUTAZIONE 5/5

H.E.