BAD BOY BUBBY (1993) di Rolf de Heer

Uno dei più interessanti film anni ’90 in grado di coniugare weird, estremo e dramma è senza dubbio il celebre australiano BAD BOY BUBBY. Una pellicola che si presenta nella primissima parte, mezz’ora circa, in maniera sporca, disgustante e prepotente, per poi cambiare registro di continuo della seconda parte, più corposa per durata ma non per contenuti, decisamente meno incisivi e memorabili di quelli iniziali. Australia. Bubby è un trentenne che vive da sempre nella sua stanza con sua madre, Quest’ultima lo ha convinto che il mondo esterno si a tossico e pertanto lo costringe a restare confinato nella medesima stanza da e per sempre. Oltre a infliggere costantemente punizioni fisiche e psicologiche (come ad esempio tenerlo fermo per ore nella sedia con la minaccia ‘se ti muovi Gesù ti vede’), la madre lo ha abituato a fare costantemente sesso con lui. Questo ha finito per influenzare pesantemente il suo concetto della vita, finendo così per sperimentare tali concetti sugli animali, insetti e perlopiù gatti, che finiscono nelle lugubre stanza. A destabilizzare in maniera definitiva una situazione già di per sé precaria, vi è il ritorno del padre di Bubby, un ubriacone senza dimora che la madre non vedeva da decenni. Questo causerà il crack necessario alla mente di Bubby per spezzare le catene e uscire finalmente dalla caverna creata dalla madre tiranna, iniziando per lui una nuova vita in un mondo esterno tutto da scoprire ….Dal mito della caverna di Platone al complesso di edipo, dalla critica feroce alla chiesa alle difficoltà oggettive del diverso di turno, questo film di Rolf de Heer non lesina allegorie e metafore di continuo, alternando situazioni estreme ad altre trash (quella del gatto cellofanato è poesia estrema purissima), da alcune drammatiche ed emotivamente forti (esempio quella con i diversamente disabili nella parte finale) fino alla commedia pura, senza dimenticare scene che sfiorano il porno.Se l’interpretazione di Nicholas Hope nei panni del Cattivo ragazzo Bubby, auto nominatosi Pop nella seconda parte (chiaro riferimento clericale), rasenta la perfezione, l’amaro in bocca, a fine visione, per quanto ammirato nella succitata prima parte e poi demolito in maniera confusionaria e troppo sperimentale nella seconda, rimane. La capacità ci creare un’atmosfera così brutta, sporca e cattiva (sembra infatti di ritornare nella catapecchia del celebre film di Ettore Scola) è merce rara nel cinema indipendente. Quello australiano si sa ha una certa predilezione per personaggi disadattati e sconnessi dalla realtà che li circonda. E quale miglior punto e luogo di partenza se non una focolare domestica altamente disfunzionale, incestuoso e con uso spettrale e intimidatorio del crocifisso?! Un film che si pone perfettamente, anche temporalmente, tra il ‘L’enigma di Kaspar Hauser’ di Herzog e il ‘Dogtooth’ di Lanthimos, mettendo in risalto i limiti umani ma anche al tempo stesso le risorse insospettabili di un essere umano costretto alla reclusione forzata e innaturale. In questo caso, per Bubby, l’ancora di salvezza sarà rappresentata prima dall’arte, la musica e nelle sua poderose performance di cantante improvvisato, e poi da una dolcezza familiare e di amicizia mai ricevuta e trovata per caso in un gruppo di diversamente abili e poi nella sua futura dolce metà, anche lei vittima di genitori autoritari e poco inclini alla comprensione umana. Anche se con alti e bassi evidenti nella seconda parte, mai priva di banalità (esempio uno stupro in carcere o becere violenze gratuite), questa va pareggiata con la prima sorprendente parte, il pezzo forte del film, destinata a lasciare indelebile nelle memoria dello spettatore, anche quello più avvezzo all’estremo più crudo e becero! Un piccolo grande cult da visione obbligatoria! VALUTAZIONE 4/5

H.E.

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