C’ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA (Bir zamanlar Anadolu’da) del 2011 di Nuri Bilge Ceylan

Spesso è il cinema, quello che mira a scuotere le coscienze, l’arma migliore per raccontare al meglio la storia politica più sporca di una nazione.
C’ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA è una metafora continua, lenta e a tratti logorante, sulle mele marce che sopravvivono, trascinandosi a fatica, sulla superficie della Turchia, che fatica a sollevare il tappeto per vedere quante schifezze vi ha nascosto per decenni, se non secoli. Un’opera che non arriva diretta al cuore ed alla mente delle spettatore, finendo però per aprire entrambi e unirli in una chiusura perfetta che lascerà senza fiato, resa tale proprio da una lunghissima visione precedente, per durata (150 min) in prima battuta ma anche sfuocata sugli obiettivi, limpida finalmente solo nel finale.
Turchia. Nella zona rurale intorno alla città di Keskin, nell’Anatolia centrale, il procuratore locale, il commissario di polizia e il medico del tribunale conducono una ricerca di una vittima di un omicidio, di cui un sospetto di nome Kenan e suo fratello con disabilità mentali hanno confessato l’omicidio. Tuttavia, la ricerca, che si svolge di notte in un ambiente quasi desertico, si sta rivelando più difficile del previsto poiché Kenan è confuso sulla posizione esatta del corpo. Mentre il gruppo continua a cercare, i suoi membri non possono fare a meno di chiacchierare tra loro delle curiosità e delle loro preoccupazioni più profonde. In particolare un aneddoto passato del procuratore, accennato al medico, afferente una donna morta senza motivo e che aveva preannunciato la sua morte mesi prima, finirà per dare vita a numerose ipotesi sul suo misterioso decesso. Questa e altre storie di apparente banalità, accompagneranno il gruppo alla ricerca del cadavere occultato, fino quando giungeranno, in piena notte, presso la casa del sindaco di un piccolo villaggio e della sua bellissima figlia ……
Raramente sceneggiatura, con dialoghi e storie annesse, e regia hanno vissuto una simbiosi così forte come in questa pellicola. Passerà almeno un’ora senza che accada nulla di veramente significativo. Se sommiamo a questo la difficoltà nel conoscere le vere storia dei molteplici protagonisti, dove solo alla lontana emergerà la figura principale del medico, C’ERA UNA VOLTA IN ANATOLIA potrebbe apparire come un film esteticamente interessante ma banale nei contenuti. Tutt’altro, perché ogni elemento mostrato, ogni pianto, sguardo o visione della natura (morta e inerte), finiranno per intrecciare un percorso di ricerca caratterizzato da faticose umanità, verità sociale e analisi politiche graffianti e quanto mai illuminanti. Dallo sguardo di una pietra che raffigura un volto (la storia è lì, si può nascondere ma non cambiare) alle azioni degli uomini dello stato che ricalcheranno quelle dei criminali (il cadavere sarà prima sciolto e poi legato nuovamente), per finire alla consapevolezza di una nazione infinitamente bella (la ragazza, figlia del sindaco) costretta all’inganno proprio da parte di chi dovrebbe proteggerla e salvaguardarla (l’esito dell’autopsia finale sul cadavere). questo film scava, prima in maniera balorda e quasi ironica e poi dolorosamente, sulle verità. Lavorando parallelamente su due storie diverse: la prima è la ricerca del cadavere (e la verità di fondo sul perché sia stato commesso) e la seconda sull’identità della donna morta misteriosamente (e su propria inspiegabile previsione). Pur distorcendo la storia a proprio beneficio sarà il futuro destino a segnarne la via, come quel bambino illegittimo che ‘sputa’ il proprio veleno addosso a chi lo ha creato. Ambientazioni desertiche quasi aliene, luoghi sospesi nel tempo, una narrazione lenta e volutamente pesante, storie di vita reale destinate a segnare per sempre in maniera negativa il futuro di chi le ha prodotte e vissute (con sottili visioni surreali comprensibili solo nel finale), ed infine una prospettiva ampia, amara e rassegnata di una nazione destinata a nascondere la verità e le proprie colpe per sopravvivere a se stessa. Uno dei ‘thriller drammatici’ più belli, profondi e significativi del nuovo millennio. Vedere (resistendo alla faticosa ma per nulla banale prima parte sopra citata) per credere! VALUTAZIONE 5/5

H.E.

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