Questo è decisamente estremo!! Dopo BLACK e RED, il terzo capitolo colorato della famiglia estrema di doc shock DEATH FILE, lo YELLOW, è il non plus ultra degli shockumentary anni ’90, sconsigliato ai deboli di cuore ed alle persone facilmente impressionabili. DEATH FILE YELLOW varca alcuni confini estremi difficilmente superabili, perfino per mixtape e collage estremi come MOST DISTURBED PERSON ON PLANET EARTH 1&2, FACING REALITY e SHOCK X-TREME VOL. 2: Death.com, un poker di lavori grezzi degli anni 2000 devastanti e logoranti per lo stomaco. Prima di arrivare al cuore del doc, catturato anche dalla cover dello stesso e destinato a far tremare i polsi, ecco di seguito un riassunto dei vari video presentati dal solito ‘simpaticone’ giapponese, mr. Darma:
– visioniamo diverse vittime uccise da armi da fuoco in Bangladesh, con tanto di cranio spappolati e corpi crivellati di proiettili
– delle ‘sagre’ paesane giapponesi, dove i partecipanti si auto mutilano tagliandosi la lingua o devastandosi il corpo con lame ed armi artigianali
– Un ossario in un tempio buddista in Thailandia
Come scritto in precedenza, l’apice estremo del documentario è rappresentato da una lunga e metodica autopsia di un neonato nato morto, mostrata quasi del tutto senza pixel e da diverse angolazioni. Terribile e terrificante sequenza difficile da vedere ed impossibile da dimenticare. Questa autopsia infantile è senza dubbio una delle peggiori e tremende sequenze visionate e visionabili in un documentario! Durante la visione di questo shockumentary, l’assenza di sottotitoli o didascalie spesso ci lascia disorientati, ma per certi versi siamo ancora di più catturati e scioccati da queste visioni al limite del continente asiatico. Se avete visionato tutti i titoli estremi citati in precedenza e volete mettervi alla prova con qualcosa di veramente estremo, questo YELLOW, uno dei documentari più rari, ricercati e osannati allo stesso tempo dagli appassionati del genere, è perfetto per oltrepassare e varcare i confini estremi. VALUTAZIONE 9/10
H.E.
