DIVINITY (2023) di Eddie Alcazar

Il regista americano di origini boliviane Eddie Alcazar non smette mai, con ogni sua opera, di sperimentare e cercare nuove strade. I risultati finora non sono mai stati eccelsi ma nemmeno scadenti. Sin dai suoi primi cortometraggi il desiderio di manipolare fino all’eccesso la mente dello spettatore, con opere distorte e non convenzionali, ha permesso di ritagliarsi uno stile particolare, scorbutico e abbastanza originale. Con questo suo nuovo film, prodotto nientepopodimeno da Steven Soderbergh, uno dei più interessanti registi americani degli ultimi tre decenni, forte di un cast di livello (e anche bizzarro, con porno star e personaggi da social media), Alcazar prova ad alzare l’asticella, mettendo sul piatto un mix di generi e stili vintage, da film sci fi e art house anni ’70 con preziosismi estremi come body horror e stop motion. 
In un prossimo futuro, l’elisir dell’eterna giovinezza sembra aver trovato vita in Divinity, realizzato da un alchimista moderno e lasciato in eredità dallo stesso, ormai morto, ai suoi due figli. Uno di questi viene preso di mira da un gruppo etereo e misterioso, deciso a punirlo per aver giocato a fare il dio ma anche per cercare una nuova vita per il genere umano, destinato sempre più all’oblio ….
Una pellicola non convenzionale che profuma d’annata, o meglio di visioni possibili ed immaginate nel secolo scorso di come potrebbe essere stato un futuro lontano. In una landa desolata il potere appare destinato a pochi, anche se pubblicità trash e la paura di invecchiare sembra essere il male assoluto. La misteriosa setta di esseri, alieni forse, è destinata a ripristinare l’ordine attraverso un’impresa violenta ed allo stesso tempo figli di uno strano erotismo non passionale ma figlio della ricerca di una fertilità anch’essa divenuta un miraggio sempre più lontano.
Girato completamente in un bianco e nero saturo, sporco e cromato, DIVINITY alterna azione a frangenti assolutamente trash (il combattimento finale è figlio indiscusso di Mortal Kombat), le quali faticano ad incastrarsi bene l’una con l’altra. Se la storia appare volutamente confusa, dove la completa interpretazione di quanto visionato è lasciato del tutto o quasi in mano allo spettatore, visivamente il film è impeccabile e realizzato egregiamente, con le musiche distorte, opera di DJ Muggs & Dean Hurley, assolutamente degne di nota.
Anche se bizzarro, il finale, per quanto surreale e assurdo, risulta essere il vero pezzo forte della pellicola. Pur non essendo al cospetto di un capolavoro ma nemmeno di un film in grado di lasciare il segno, DIVINITY merita una possibilità, almeno per chi apprezza le opere sperimentali estreme, impossibili da catalogare e fuori dal coro. VALUTAZIONE 3/5

H.E.

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