DOGVILLE (2003) di Lars von Trier




L’opera più sperimentale, nichilista ed allo stesso concettualmente più estrema del felicemente controverso regista danese Lars von Trier.
178 minuti vissuti, narrati e visionati nel medesimo luogo, un set teatrale astratto che sintetizza, in pochi metri quadrati, una cittadina (DOGVILLE appunto) di poche anime immersa e sperduta tra le montagne rocciose americane negli anni ’30. 
Grace, una giovane donna in fuga da alcuni gangster, arriva nel piccolo paese di Dogville. Qui, lontana dalla grande città, trova rifugio in cambio di lavoro. Se, inizialmente, pare rintracciabile un equilibrio, e Grace sembra trovarsi bene nel paesino, la donna sarà successivamente vittima di ricatti, sfruttamenti e violenze di ogni genere……..<br>Particolare e rara fusione di diverse espressione d’arte (teatro, cinema e letteratura) in un unico contenitore, fittizio, limitato e limitatore come una cittadina confinata ma priva di confini al suo interno (almeno visivamente per noi estranei). Proprio questo ‘confini’ finiranno per diventare elementi fondamentali per presentare e smascherare difetti e vezzi dell’umanità attraverso un piccolo manipolo di essere spregevoli, egoisti, viscidi e sfruttatori come gli abitanti di questa cittadina disegnata al suolo. Per smascherare e mostrare la loro vera natura egoista e malvagia, come nelle ‘migliori’ famiglie di tutto il mondo si necessita di un elemento esterno, apparentemente ingenuo che pian piano ne scalfisce certezze e ne libera allo stesso tempo tentazioni pericolose. L’elemento dirompente (che ricorda ancora una volta lo straniero del celebre TEOREMA del nostro Pasolini) una donna straniera di nome Grace. Una figura angelica utile e necessaria per aprire quelle porte dell’ipocrisia che tanto è amata nella ‘pacifica’ DOGVILLE. L’evoluzione della compagnia malsana di donne, uomini e bambini sarà parallela a quella di Grace, comparabile a qualsiasi contesto familiare, borgata, villaggio e perfino nazione, quando la routine e l’abitudine viene agevolata prima e sconvolta poi da un elemento cosiddetto esterno. 
Nonostante la suddivisione di questa titanica opera in 10 capitoli (compreso il prologo iniziale) la stessa si può suddividere in due parti ben distinte, dove il punto di non ritorno e liberazione avviene attraverso un’apparente necessaria sculacciata ad un bambino indisponente da parte di Grace, quest’ultima rappresentata al meglio da una Nikole Kidman straordinaria e fenomenale nell’incarnare questa figura femminile quasi mistica e cristologica, destinata però ad una inevitabile mutazione infernale e liberatoria.
A rendere grandioso un luogo immaginario ma simbolico come questo troviamo un cast stellare, dove non mancano alcuni fedelissimi del maestro del vecchio continente, come Stellan Skarsgård e Udo Kier. Figura centrale, quasi alla pari di Grace, quella dell’aspirante scrittore Tom Edison Jr, rappresentazione deprimente del ‘vorrei ma non posso’, ricco di opportunismo vile ed incapace di ammettere i propri limiti e difetti personali. La giusta e più semplice rappresentazione dell’egoismo umano, dove spesso si cova quel malessere umano che alberga in ognuno di noi ma che spesso è destinato a rimanere soffocato da una facciata religiosa, politica o sociale. 
Se DOGVILLE finirà per diventare una storia universale e non solo riferita all’America o alla società occidentale contemporanea, il comparto estremo targato von Trier non si nasconderà affatto, in quanto mostrato in maniera scioccante più volte, tra stupri alla luce del giorno, omicidi, infanticidi, torture ed umiliazioni fisiche e psicologiche. Dietro l’apparenza del mondo ‘civile’ costituito da regole e logiche morali vi si nasconde il male onnipresente, sin dall’alba dei tempi, nel cuore di ogni essere umano. Solo chi lo libera finirà per mostrarne la sua vera natura, vedasi appunto il finale crudo e barbaro di questa poderosa e logorante pellicola. DOGVILLE è questo e tantissimo altro, un film da visionare ed analizzare (nelle sue molteplici sfaccettature psicologiche e filosofiche) fino allo sfinimento, in quanto dimostra, in maniera rivoluzionaria ed originale, l’impossibilità umana di estirpare quel male che conserva da sempre al suo interno della sua anima e coscienza. Uno dei capolavori estremi della nostra generazione!! VALUTAZIONE 10/10

H.E.