ERASERHEAD (1977) di David Lynch

 

Eraserhead è il primo figlio cinematografico di David Lynch. E’ una creatura filmica deforme e alienante che divora ogni tipo di intellettualismo analitico. Un’opera stupefacente e terrificante, avvolta da una coriacea impenetrabilità che urla, piange e si lamenta al solo tentativo di studiarla e scalfirla. Il film è un bambino inspiegabile, che costringe i genitori ad una sorta di morte (interiormente) momentanea e forzata. E’ una pellicola che si presenta come un misterioso intervallo, composto dalla materia primordiale che sta tra il bene e il male. Eraserhead è un’ipercinetica lumaca che sbava in continuazione; è un lungometraggio che bolle sotto il coperchio subcosciente dello spettatore, senza essere, però, mai sollevato o scoperto; è un film che ha distrutto volutamente tutte le valvole di sfogo. Il regista, con quest’opera unica nel suo non-genere, crea l’emblema della paura inconscia di un genitore qualunque; il non plus ultra del disagio familiare scaturito dalle convenzioni e convinzioni sociali/religiose radicate e, soprattutto, inculcate in noi da tempo remoto. Eraserhead è la pellicola più spirituale di David Lynch; è un preciso pezzo di Bibbia che, dilatandosi, si trasforma in un impreciso pezzo di realtà. A tirare le leve di questo gioco macabro è quella strana e informe entità che appare durante la sequenza iniziale; pare una specie di Dio malvagio, anormale e malintenzionato, pronto a colpire e a modificare pesantemente la vita dell’essere umano che, involontariamente o meno, gli capita sotto tiro. E, con un parallelismo meta cinematografico, Lynch (Dio) fa lo stesso “gioco macabro” con lo spettatore (essere umano sotto tiro). Un’esperienza totalizzante e inimitabile. Capolavoro. VALUTAZIONE 10/10 Review by Manuel Piras

Eraserhead, in italiano la mente che cancella è il primo lungometraggio di David Lynch. Un’ opera prima indecifrabile, un’esperienza visiva che tocca il subconscio e lascia storditi a fine visione.
Henry Spencer, un tipografo come tanti, ritorna come ogni giorno al suo piccolo appartamento. La telecamera ci accompagna durante il suo incedere fino alla sua porta. Ma è proprio sull’uscio che la sua vicina lo avverte che una certa Mary ha chiamato chiedendo di lui. Da questo momento nascerà nel protagonista uno stato delirante che lo porterà a falsificare il mondo reale con quello onirico.
A fronte di una sceneggiatura quasi inesistente, il film si riempie di accadimenti che racchiudono ed esprimono, tutte le ossessioni e parafilie che hanno reso celebre il regista americano.
La pellicola infatti si muove su diversi piani ben distinti, mischiando la realtà e la fantasia in un’ellisse storta.
La struttura narrativa pur muovendosi nel territorio del cinema classico, fondamentali sono le opere di Chaplin e“Freaks” di Tod Browning, riesce ad elaborare una propria poetica distorta. Perché il nostro personaggio è “un uomo dei tempi moderni”, ma è anche uno scherzo della natura dalle fattezze umane. Le somiglianze però, non si riscontrano solamente nello stile surrealista e nell’utilizzo impeccabile del bianco e nero, ma anche nei movimenti e nei gesti del protagonista che come “Charlotte” cerca il suo posto nel mondo fuori dalle mura della fabbrica.
Un insieme di dadaismo figurativo che incontra il noise e la cultura post industrial di quegli anni. Il decadimento definitivo del mito fordiano che si piega sotto i colpi della vita in una progressione di nascita, crescita e morte. Ma il punto e l’analisi più profonda che la storia vuole esprimere è l’incancellabilità delle nostre paure più inconsce. Perché Eraserhead è un’esperienza sensoriale fatta di violenza non esibita e disagio. Una rappresentazione esplicita del mancato superamento del complesso edipico. Una condizione questa che si ripercuote anche sul suo ruolo di padre, inteso come Pater, protettore della famiglia e dei figli. Perché nel mondo di Lynch, così come nel nostro, non esistono i così detti sani, ma solo diverse sfumature di diversità. Capolavoro immortale, da vedere e rivedere, per sempre. VALUTAZIONE 10 e lode
Review by Christian Humouda