FUNERALOPOLIS A Suburban Portrait (2018) di Alessandro Redaelli

In un periodo storico italiano avaro di pellicole horror indipendenti degne di nota, uno dei più giovani registi indie del panorama nostrano, Alessandro Redaelli, sceglie di virare su terreni estremi reali e per nulla banali, realizzando un documentario anomalo (per il nostro cinema) su dei tossicodipendenti dell’hinterland milanese. Tra siringhe, eroina, musica rap autoctona, sangue, vomito, amicizia, ribellione e anarchia, finiremo per diventare spettatori dinamici e attenti di questo viaggio vero e crudo (ma non passivo da parte del regista) attraverso la quotidianità di ‘Lorenzo Vashish Passera’ e ‘Andrea Felce Piva’, due amici che condividono amicizie e passioni in comune, come l’esoterismo satanismo casereccio, la musica e ovviamente l’eroina, obiettivo giornaliero imprescindibile per entrambi. Cornice e panorama della storia Bresso e zone limitrofe, come il parco Nord di Milano, polmone verde destinato a facili vie di fuga dalla realtà urbana grigia ed opprimente dell’hinterland milanese avvolto nel cemento.

Il documentario non segue una linea temporale chiara e definita, dove passato e presente dei due protagonisti finiranno per alternarsi di continuo, mostrando spesso loro due assieme, prima l’uno e poi l’altro, attraverso monologhi sterili e deliranti su religione e satanismo, oppure lucide analisi della società contemporanea o sulla necessità, o meglio speranza, di trovare una propria strada futura lontana dal nebuloso presente che li circonda.
Se assieme al branco i due appaiono come similari, con l’avanzare del documentario, dove la lente del regista si focalizza singolarmente prima su Lorenzo e poi su Andrea, saranno evidenziate le notevoli differenze tra loro. Anarchico, amante di film estremi e ribelle il primo, riflessivo ed erudito il secondo, a dimostrazione che le basi culturali di una persona finiscono sempre e comunque per determinarne carattere e desideri futuri. Sono proprio gli aneddoti del loro passato, remoto e più recente, a presentarli come si deve. Se alcune storie urbane di Lorenzo appaiono poco veritiere, quelle di Andrea non lasciano dubbi sulla solida veridicità, in quanto ne hanno strutturato la personalità e lasciato allo stesso una visione più lucida e amara sulla vita vuota del proprio presente.
Due visioni vicine per appartenenza al branco similare che li poterà, in uno dei passaggi più intimi del film mentre passeggiano di notte in un cimitero, a mostrare un rispetto totale per la morte altrui, al contrario ahimè della vita presente, destinata ad essere derubata secondo dopo secondo da una dipendenza estrema, come quella dall’eroina, mostrata senza sconti e sbattuta in faccia allo spettatore in tutta la sua cruda amarezza, tra siringhe spuntate, sangue ed inevitabili riti di preparazione delle famigerate ‘pere’.
Se l’analisi psicologica dei due protagonisti da parte di Redaelli appare implacabile, la sua presenza non si nasconde mai, tra specchi e continue riferimenti alla videocamera da parte dei protagonisti, quasi fossero dei bambini alla ricerca di un continuo conforto o approvazione per mostrare il loro mondo.
Girato con un bianco e nero a tratti mortificante, che riporta alla memoria un altro documentario tossico italiano, L’IMPERATORE DI ROMA, FUNERALOPOLIS non si dimentica dei titoli italiani, più o meno noti, dedicati all’eroina, da AMORE TOSSICO a FUORIVENA, citati in maniera sottile nel corso della pellicola. Una visione cruda, reale ma non disinteressata (non è una bestemmia ma lo stile documentaristico di Redaelli mi ha ricordato tantissimo quello di Herzog) di un mondo sotterraneo e marginale della tossicodipendenza dei nuovi anni ’10, dove il desiderio di ribellione anarchica senza bersaglio (l’emblema e simbolo del documentario sembra essere racchiuso nella macchina già distrutta ma oggetto di rabbia violenta da parte di Lorenzo e Andrea ad inizio pellicola) finirà per scontrarsi con un’incapacità evidente di far ascoltare la propria voce e ‘desiderio di aiuto’ agli ‘altri’, menzionati più volte da parte dei due protagonisti e loro amici (i ‘ricchi’, i ‘proprietari di una casa’, ‘loro’, la società avida). Gli ‘invisibili’ per una volta diventano visibili, merito assoluto di chi ha reso possibile un’opera dura e amara come questa. Chapeau! VALUTAZIONE 4/5
H.E.
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