HELLO DESTROYER (2016) di Kevan Funk

 

Per un atleta di medio-alti livelli esistono tre stop brutali che lo fanno emergere da un’apnea perenne dovuta al mondo sportivo che lo circonda, proteggendolo da tutto il mondo non-sportivo.
Il primo è dovuto al doping, il secondo alla fine attività ed il terzo ad altri eventi nefasti, legati spesso a comportamenti scorretti. Questo film canadese, opera prima di un giovane regista sconosciuto, affronta il mondo dello sport come mai prima d’ora, puntando la lente d’ingrandimento sul terzo punto sopra citato. Sport nazionale o quasi per il Canada, l’hockey è uno sport dove la componente mascolina e l’aggressività degli atleti è sollecita più volte al limite. Cosa succede quando questa componente, dopo essere stata esasperata e voluta dal coach, dal team e dalla comunità, finisce per causare un grave incidente? Facile, viene punita e massacrata dagli stessi che l’hanno esasperata e voluta.
Tyson è un giovane ma promettente giocatore di hockey. Quando tutto sembra andare per il meglio, la sua vita sportiva prima e privata poi, viene completamente distrutta e capovolta da un suo atto di violenza furibonda durante una partita.
La fraternità della sua squadra svanisce di colpo e gli amici lo evitano, finendo così per Tyson di essere completamente ostracizzato dalla comunità che prima lo acclamava a gran voce. Inizia per Tyson, non più protetto dal nucleo locale legato all’hockey, una battaglia psicologica durissima, per trovare un nuovo equilibrio in un mondo a lui completamente sconosciuto …..
Una regia profonda e fortemente europea (sembra un film fiammingo), tra lunghi silenzi, sguardi furtivi e situazioni drammatiche, stranianti e scorbutiche allo stesso tempo, che lascerà più volte smarriti ma consapevoli di vedere un film capace di scavare a fondo su un tema scomodo, silenzioso e quasi mai sotto i riflettori. Impossibile non associare vagamente le problematiche vissute da Tyson con quelle della celebre pattinatrice Tonya Harding (tornata alla ribalta grazie al buon film I, TONYA). In realtà il regista sembra puntare senza mezze misure il dito contro l’hockey e tutto il micro universo che lo circonda. Dove si richiede di essere violenti spesso al limite. Quando però si varca il confine, a causa di un dosaggio sportivo-psicologico estremo, il giocattolo non si deve fermare, ed il giocatore ne diventa la pedina sacrificabile. Una teoria che si riflette sul mondo che Tyson è costretto ad affrontare ed associabile facilmente ad altre realtà, anche non sportive (i militari per esempio).
Una pellicola canadese scarna e profonda, che costringe a molteplici riflessioni e letture a fine visione. Da vedere! VALUTAZIONE 8/10

 

H.E.