I LOVE YOU, NOW DIE: The Commonwealth v. Michelle Carter (2019) di Erin Lee Carr

Fairhaven, Massachusetts. La sera di domenica 13 luglio 2014, il diciottenne Conrad Roy si suicidò nel suo fuoristrada avvelenandosi con i fumi del monossido di carbonio. Roy, pochi istanti prima del tragico gesto (uscito per pochi secondi dal fuoristrada) ricevette sul suo cellulare un messaggio perentorio da parte della sua ‘fidanzata’ diciassettenne Michelle Carter: torna dentro!!!
Uno dei casi processuali più celebri dal punto di vista mediatico degli Stati Uniti del decennio scorso (in quanto privo di precedenti penali), è stato quello afferente l’accusa di omicidio colposo involontario nella persona di Michelle Carter, colpevole di aver istigato al suicidio tramite sms il suo ‘fidanzato’ Conrad Roy.
La navigata regista Erin Lee Carr (suo il terrificante ‘Mommy Dead and Dearest’), scava a fondo senza sosta prima sugli eventi che hanno preceduto il folle gesto e successivamente seguendo l’iter processuale ai danni di Michelle Carter, iniziato nel 2015 e concluso nel 2017. Per comprendere al meglio quanto accaduto, la regista ci fa leggere (in ordine cronologico) buona parte della lunghissima corrispondenza online tra Conrad e Michelle, dove il tema principale di entrambi era sempre il suicido. In particolare di Conrad, un ragazzo depresso che manifestava il proprio malessere ed infelicità nei confronti della vita attraverso delle video registrazioni agghiaccianti. Come per il dolorosissimo BOY INTERRUPTED di Dana Heinz Perry, Conrad manifestò costanti tendenze al suicidio sin da giovanissimo. Queste furono amplificate dalla separazione tra i suoi genitori e dalla presa di mira di alcuni bulli nei suoi confronti durante il liceo. Il rapporto con Michelle finì per diventare l’unico vertice di una piramide sociale capovolta nel quale Conrad si rifugiò. Purtroppo per lui anche Michelle (questo lo scopriremo solo nel primo processo) faceva uso massiccio di anti depressivi. Questo, associato ad una costante visione della realtà straniante associata al mondo virtuale di GLEE (dove per sms riportava le stesse frasi degli attori e dove nella realtà uno degli attori protagonisti si suicidò nel 2013) e un continuo sollecito documentato di spingere il suo ‘fidanzato’ a compiere il grande salto, una volta che il suo cellulare finì nelle mani della polizia, a farla diventare il primo caso negli USA di accusata di omicidio tramite sms e chat online. La regista Erin Lee Carr riesce non solo a scavare nei fatti realmente accaduti, bensì a fornire allo spettatore una visuale completamente diversa quella fornita dai mass media (perlopiù sciacalli), cercando di amplificare eventuali attenuanti del caso e costruendo il più possibile le particolari e fragili personalità disturbate dei due protagonisti di questa triste e amara vicenda, mettendo bene a fuoco gli eventi filtrati il più possibile attraverso la lente della verità. Se il finale lascerà parecchio amaro in bocca per i forcaioli di turno, la sensazione che questa vicenda abbia presentato una storia senza vincitori e ne vinti (questo vale per la vittima, per l’accusata ma anche per i genitori, amici e medici di entrambi). Un ottimo docu-crime di una storia disturbante, destinata a molteplici riflessioni sulla libertà assoluta lasciata troppe volte ai propri figli ‘invisibili’ e conoscenti in difficoltà esistenziale e mentale come Conrad e la stessa Michelle! Notevole! VALUTAZIONE 4/5

H.E.


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