IL BUONO, IL BRUTTO, IL CATTIVO (The Good, the Bad and the Ugly) del 1966 di Sergio Leone

‘Io dormirò tranquillo perché so che il mio peggior nemico veglia su di me!’
Questo non è un film western ma, per chi scrive queste poche righe, E’ … IL film western per eccellenza. Ai tempi dell’Ovest selvaggio americano dell’800 il cinema non aveva visto ancora la luce, quindi tutti i registi del ‘900 hanno finito per dare una propria luce e visione di quel periodo così ricco di fascino e insidie. Se inizialmente questo genere sembrava appannaggio solo, per obbligo geografico, agli americani, il nostro Sergio Leone negli anni ’60 diede vita ad un genere tutto italiano (che avrà anche nel grandissimo Sergio Corbucci un altro alfiere glorioso), marchiato dagli americani ‘spaghetti western’ (in apparenza dispregiativo ma denso di significati, partendo anche dal sangue associato al nostro amato sugo, del tutto assente nei film western precedenti) , destinato ad esplodere in tutto il mondo, nonostante sia partito inizialmente sottotraccia.
Vertice assoluto e simbolo del genere sopra citato è senza dubbio alcuno ‘IL BUONO, IL BRUTTO, IL CATTIVO’, terzo capitolo dell’ipotetica trilogia del dollaro (PER UN PUGNO DI DOLLARI e PER QUALCHE DOLLARO IN PIU’ gli altro due film, precedenti a questo). Una pellicola di quasi tre ore dal fascino immortale, dove tutto funziona a meraviglia ed in ogni sua componente, dalla sceneggiatura agli attori, dalle scenografie alla colonna sonora, funziona come un ingranaggio perfetto e letale per gli occhi e la mente dello spettatore da 54 anni a questa parte. Bastano solo i primi dieci minuti, privi di dialogo, dopo una semplice ma efficace presentazione dei titoli di testa, bianco su rosso, a mettere in guardia lo spettatore su cosa lo aspetta. Tutto si apre con un zoom marchio di fabbrica di Leone su un cacciatore di taglie destinato a lì a breve a finire nella polvere per mano di uno dei tre protagonisti, Tuco Ramirez ovvero ‘il brutto’ (interpretato da Eli Wallach e che successivamente finiremo per amare e conoscere nel profondo meglio degli altri due), presentato brillantemente con una scritta in corsivo. A lasciare senza fiato sarà pochi secondi minuti dopo la presentazione di Sentenza ‘il cattivo’, un inquietantissimo e mefistofelico Lee Van Cleef (che assieme al ‘ricciolo’ Jack Ballance condivide uno dei volti più ruvidi e rocciosi del cinema western), che non esita a uccidere senza pietà nemmeno un bambino dopo aver scoperto che migliaia di dollari sono in attesa di un nuovo padrone.
Ultimo, ma non ultimo per importanza, ecco ‘il buono’ (che poi tanto buono non è come scopriremo in seguito ma sicuramente il più fortunato), ‘il biondo’ interpretato da un Clint Eastwood che in pochi anni, grazie a Leone, diverrà da sconosciuto a star internazionale e icona del cinema western, finendo per avere con questo genere un legame indissolubile, prima come attore e poi come affermato regista (il primo film western diretto da lui, ‘Lo straniero senza nome’, ha tutti gli stilemi e caratteristiche dei film sopra citati targati da Leone).
La trama è, di per sé, molto semplice. Siamo nel 1862 e la guerra civile americana, tra sudisti e confederati è in pieno svolgimento e nei suoi momenti più duri e cruciali. Prima Sentenza, un sicario, durante un’esecuzione sommaria su commissione, viene a conoscenza di un malloppo di 200.000 dollari nascosto da parte di un soldato confederato di nome Bill Carson (nome fittizio per nascondere la sua vera identità). Dopo una serie di peripezie e di un’alternata amicizia per comodo, anche il bandito Tuco e il silenzioso cacciatore di taglie detto Il Biondo (quando quest’ultimo sta per essere ucciso nel deserto dal suo ex socio di malaffare) verranno a conoscenza del succitato tesoro, quando finiranno per incontrare Bill Carson poco prima della sua morte. Prima dell’ultimo sospiro Carson dirà a Tuco il nome del cimitero dove nascosti i soldi e al moribondo Biondo il nome della tomba. Inizia così una lotta contro il tempo per arrivare prima sulla tomba imbottita di soldi tra Tuco, il Biondo e Sentenza, mentre sullo sfondo impazza la guerra sanguinaria tra nordisti e sudisti ………
Considerato da Quentin Tarantino il film migliore di sempre (difficile dargli torto), sarà proprio il noto regista americano a elogiare e darne il giusto valore come forse nessuno prima di lui (così rilevante nel panorama internazionale)di tutto quel cinema italiano anni ’60 e ’70 (polizieschi, horror e thriller,, quindi non solo western), ancora oggi considerato da molti critici e cinefili ‘minore’ rispetto a quello dei vari Fellini, Rossellini, Antonioni e Bertolucci (solo per citarne alcuni dei più, giustamente, elogiati).
Come accennato in precedenza i punti di forza e di successo della pellicola sono molteplici e tutti perfettamente amalgamati tra loro. Di primo impatto i 3 protagonisti principali, ognuno caratterizzato perfettamente attraverso una fisicità dirompenti, anche se diversa per tutti e tre, dialoghi taglienti e spesso sinistramente ironici. Non meno significativi i tantissimi personaggi secondari (dalla bellissima prostituta amante di Carson al ruvido Mario Brega nei panni di un roccioso caporale nordista dai pugni pesanti, dai fuorilegge con facce da galera ai tantissimi soldati presenti e sempre disperati, indipendentemente dal colore della loro divisa). Sarà proprio la visione alternativa, e priva di significato, da parte di Sergio Leone a spiazzare all’epoca gli americani (associando i campi di concentramento nordisti a quelli nazisti) e soprattutto lontano da quel cinema revisionista (dove gli indiani saranno sempre protagonisti, mentre qui sono presenti come sagome di cartine per il tiro a segno per Tuco) che da lì a breve, dopo il ’68, avrebbe sfornato numerose pellicole hollywoodiane.
Quarto protagonista del film, dopo i tre citati nel titolo, è sicuramente Ennio Morricone, autore di una delle colonne sonore più significative di sempre e capace (come ha fatto ovviamente Sergio Leone con la tecnica ed il suo stile da regista) a creare un nuovo suono divenuto poi simbiotico con il genere western e facilmente associabile ad esso. Apice della colonna sonora la musica maledettamente tesa di quel duello finale (con il celebre ‘stallo alla messicana’ divenuto leggendario e utilizzato in centinaia di pellicole a venire) che finirà anch’esso nella storia come tutta la pellicola (girato nel cimitero di Santo Domingo de Silos in Spagna). Se Sergio leone ha emozionato ed ispirato decine di registi negli anni successivi, un applauso e merito va dato alle sue ispirazioni, lontane geograficamente e per genere, ovvero quel cinema dei samurai che tra la fine degli anni ’50 ed i primi ’60 sfornerà pellicole leggendarie (I SETTE SAMURAI e HARAKIRI, tanto per citarne un paio) che avrà diverse similitudini con il cinema del regista romano, compresi i lunghi ed intesi silenzi, gli scontri e duelli sanguinari, personaggi rocciosi e zoomate sui volti degli stessi, al fine di intensificarne la fortissima personalità. Ogni altra parola scritta non renderebbe giustizia a questo immenso capolavoro western, che appare, ad ogni nuova visione, come un’esperienza memorabile, unica ed epica nella storia del cinema!! VALUTAZIONE 5/5

H.E.

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