LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO (1976) di Pupi Avati

 

“I colori, i miei colori,
escono dalle mie vene.
Sono dolci, i miei colori,
dolci come l’autunno,
caldi come il sangue,
lisci come la sifilide
e vanno dentro
gli occhi della gente
portando a tutti l’infezione.
I miei colori…
… sono dentro al mio braccio,
i miei colori,
Meus Deus… lontano…
… lontano vanno i miei colori.
Ma bisogna morire per loro,
aprirsi dentro.
Deus senor… purificarsi…
… via tutto…
… la purezza…
… sono tutti i miei colori…
Filho de puta, si ecco…
… Meus Deus, ecco…
… sento che sta morendo.”

I deliri di: Il ‘pittore delle agonie’ Bruno Legnani

Uno dei vertici assoluti del cinema horror italiano del periodo d’oro (gli anni ’70), ricercato ed ammirato ancora oggi in tutto il mondo, è senza dubbio LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO di Pupi Avati, film enorme dal titolo brillante e sinistramente ironico.
Un’opera soffocante, morbosa e minacciosa sin dai minuti iniziali, con un’intro che incute subito terrore, destinata a trascinare lentamente e senza tregua, con un’atmosfera rurale terribilmente inquietante, lo spettatore in un mondo a lui vicino, quello della provincia italiana fatta di silenzi, mormori, sguardi taglienti e segreti inconfessabili abilmente sepolti nelle segrete stanze di paese.
Stefano, un giovane pittore, arriva in un piccolo villaggio del ferrarese per restaurare un macabro affresco sito in una chiesa locale. L’opera, che raffigura il martirio di San Sebastiano, è stata dipinta da un folle pittore, tale Buono Legnani, morto suicida in circostanze misteriose e noto in paese come il ‘pittore di agonie’. Quando Antonio, l’amico di Stefano, muore suicida davanti ai suoi occhi, quest’ultimo decide di indagare sulle circostanze misteriose che hanno portato l’amico al fatale gesto, del quale non ne è per nulla convinto. Mentre il lavoro di restauro al dipinto procede senza sosta, portando alla luce un paio di figure sinistre inizialmente nascoste, Stefano trova diversi oggetti appartenuti al Legnani, tra i quali una macabra poesia delirante ad opera del pittore delle agonie. Man mano che Stefano avanza nella sua ingenua ricerca della verità molteplici personaggi locali, finiranno per affiancarlo o intralciarlo nella sua indagine privata. Quello che Stefano non sospetta, è la terribile verità nascosta nella nebbia di omertà che avvolge il piccolo paese ferrarese e la ‘casa dalle finestre che ridono, scoperchiando un male assoluto destinato irrimediabilmente a franargli rovinosamente addosso …….
Dipinti morbosi, cittadini squilibrati, telefonate inquietanti, racconti sinistri, finestre che ridono in maniera macabra, segreti abominevoli e tantissimo altro ancora, rappresentano, assieme alle atmosfere provinciali delle valli del delta del Po, un micro mondo narrato perfettamente, grazie ad una naturalezza purissima, indipendente e libera dalla ricerca purtroppo ossessiva di replicare opere altrui di molti registi italiani e stranieri dell’epoca. L’originalità di valorizzare le ricchezze locali del luogo, come le trattorie, i canali, le strade polverose, le nebbie ed i personaggi strampalati (freak, nani, vecchiacce, puttane, pervertiti e non solo) presenti in ogni buon paesotto di provincia italiano d’annata che si rispetti, finiranno per diventare la forza trascinante della pellicola e culla ideale per la storyline principale, da thriller assai misterioso alla ricerca della verità.
Pur non ricalcando il genere giallo italiano dell’epoca, Avati ne mescola comunque alcuni elementi con altri, come l’horror gotico e lo slasher, finendo però per mantenere un’originalità unica e impossibile da replicare ancora oggi.
Nato da un soggetto scritto a quattro mani con il fratello Antonio, nel lavoro di sceneggiatura ci saranno anche Maurizio Costanzo (la moglie di Maria De Filippi) e Gianni Cavina (anche attore nel film, nei panni dell’alcolizzato e confidente Coppola).
A malincuore la ‘casa dalle finestre che ridono’ (già fatiscente all’epoca) presente nel film è stata demolita. Si trovava nei pressi di Malalbergo (BO), mentre le riprese del film sono state fatte a Comacchio, nel tanto amato da Pupi Avati Delta del Po.
Creare un grande finale per dar vita ad un grande film, sottolineava Charlie Kaufman ne ‘IL LADRO DI ORCHIDEE’, e Pupi Avati lo precedette di decenni, in quanto il finale di questo cult del nostro cinema non teme confronti con nessuno. Il colpo di scena finale, nella chiesa del dipinto maledetto, lascerà senza fiato (almeno la prima volta ma …. anche la seconda), svelando in un colpo solo tutto il male che ha obbligato per anni all’omertà ed al silenzio il piccolo paese ferrarese, privandolo così del coraggio necessario per liberarsi da questa anomala tirannia sotterranea.
Il male che pervade la pellicola è onnipresente e finirà per insidiarsi nella nostra mente, colpita senza possibilità di salvezza dal sopracitato finale, quanto mai micidiale, terrificante e senza fine.
Se dobbiamo cercare il pelo nell’uovo, nel film sono presenti alcune incongruenze cronologiche, destinate però ad essere spazzate via da una trama spettacolare e da una compagine di attori superlativa. Oltre il capolavoro! VALUTAZIONE 10 e lode!

 

H.E.

 

Una risposta a “LA CASA DALLE FINESTRE CHE RIDONO (1976) di Pupi Avati”

  1. Un Capolavoro! Un pò lento ma è necessario per il finale da brividi! Gli ultimi 30 minuti sono da cardiopalma.

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