LA GRANDE ABBUFFATA (La Grande Bouffe) del 1973 di Marco Ferreri

“Se tu non mangi, tu …. non puoi morire!” Ecco il film italiano perfetto per ogni occasione. Che si tratti di quarantena forzata, capodanno, feste pasquali o natalizie.Censurato, pesantemente tagliato nella sua prima versione italiana (112 miseri minuti mentre quella UNCUT è di ben 132 minuti) e orribilmente fischiato al ‘glorioso’ festival di Cannes nel ’72, questo film di Marco Ferreri (probabilmente il vertice della sua carriera), rappresenta ancora oggi una delle critiche più graffianti, ciniche e burlesche al consumismo opulento ed eccessivo della società occidentale dell’epoca. Un benessere, come si evincerà strada facendo nel corso di questa storia grottesca, destinato alla quasi inevitabile autodistruzione.In una villa fuori Parigi quattro vecchi amici (un giudice, un cuoco, un pilota e un produttore televisivo) si riuniscono per il week-end abbandonandosi ad un’orgia di cibo, sesso ed eccessi di varia natura. Ad affiancare questo delirio culinario ci saranno delle prostitute e una maestra delle elementari capitata li per caso con in suoi alunni in visita al giardino della villa. La maestra Andrea, rimane affascinata dai quattro e decide di unirsi a loro in questa folle spirale autodistruttiva ……..Se questo film appare provocante, sporco, rivoltante e stomachevole da una parte (merda, vomito, rutti, flatulenze estreme, orge oscene arricchite da cibo e bevande alcoliche di ogni tipo abbonderanno alla grande), dall’altra sprigiona una carica ironica quanto mai brillante (soprattutto nelle prima parte), che trova proprio nei suoi quattro alfieri degli attori di prim’ordine i momenti più memorabili. Ugo Tognazzi (il cuoco), Marcello Mastroianni (il pilota d’aerei), Philippe Noiret (il giudice) e Michel Piccoli (il produttore), avranno (idea geniale) lo stesso nome anche nei personaggi da loro magnificamente interpretati. Da un Tognazzi in versione Don Vito Corleone a un Mastroianni in versione ‘pirata donnaiolo’, da un Piccoli ballerino di danza classica e un Noiret innamorato della sua Balia (o meglio delle sue mammelle, ed è proprio per queste che virerà nella voluttuosa maestra Andrea), le ‘grasse’ risate sono garantite, senza dimenticare una sognatrice e golosa, di cibo e sesso, Andréa Ferréol nei panni dell’omonima maestra e promessa sposa nel film di Philippe. Il nichilismo egoista e senza limiti messo in scena, appare infatti la risposta migliore da parte di Ferreri alla noia figlia di quel benessere che rende chi lo raggiunge di provare quella felicità infantile divenuta un miraggio per i quattro amici (non è un caso se all’inizio passano in rassegna immagini pornografiche riesumate per l’occasione da Philippe e utilizzate dallo stesso in gioventù per soddisfare i propri bisogni sessuali). Se il cibo e il significato che si cela al suo interno (la ricchezza stantia), il sesso non è da meno, attraverso una visione femminile concepita come ultima ancora di salvezza o, peggio ancora, come ultimo desiderio primordiale di un condannato a morte certa. Tra gli innumerevoli meriti di questo film ( girato a Parigi presso la villa che fu dimora del celebre scrittore Nicolas Boileau), vi è soprattutto quello di avere anticipato contesti, tematiche e situazioni presenti in altre pellicole italiane (divenute nel tempo dei capolavori assoluti anche se in generi completamente diversi), che vedranno la luce da lì a poco, come l’estremissimo SALO’ pasoliniano (il sesso e cibo usati come metafora del potere) ed il fenomenale AMICI MIEI di Mario Monicelli (il finale malinconico dopo le goliardie tra amici veri). Un fenomenale film estremo e grottesco (ad opera di un grande regista italiano (purtroppo ancora oggi sottovalutato da molti), da vedere almeno una volta all’anno, anzi, al mese e … sempre duranti i pasti … Buon appetito!!! VALUTAZIONE 5/5

H.E.

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