LAW AND ORDER (The Greater Good) del 1969 di Frederick Wiseman

LAW AND ORDER, uno dei primi documentari di Frederick Wiseman, fotografa al meglio la tensione sempre più elevata tra le forze dell’ordine e alcune comunità afro americane in un anno, il 1968, che vide la morte di uno dei leader più importanti della minoranza nera negli Stati Uniti, Martin Luther King.
Wiseman segue in prima persona la quotidianità di alcuni poliziotti di Kansas City, i quali devono far fronte ogni giorno a situazioni estreme, con ladri, balordi e alcolizzati locali, oltre a proteggere e salvare persone e bambini in pericolo.
Realizzato e costruito con un montaggio irregolare e poco avvezzo al cinema, che passa da una caccia all’uomo ad una bambina smarrita e presa in cura da alcuni poliziotti, questo lavora di Wiseman ci catapulta in un mondo lontano anni luce dal cinema stellare americano di quel periodo, mostrando spesso senza censura ed in tutta la loro crudeltà, frangenti di vita comune con protagonisti poliziotti, quasi tutti giovani, che non esitano a randellare e spezzare le ossa, anche se il delinquente di turno, spesso presunto tale, è una donna o un ragazzo ancora minorenne. Se la tensione a volte si taglia con il coltello, non mancano i momenti grotteschi e miseramente comici. Come quello di un uomo (afro americano) che dorme per terra ai bordi di una strada completamente ubriaco, mentre al gente che passa, sollecitata dalla polizia, prova a riconoscerlo, confondendolo sempre con qualcun’altro.
Interessantissimo un discorso fatto da un sergente alle nuove reclute, pronte ad uscire per strada, dove le intima a non prendere in giro i vagabondi o delinquenti arrestati (non chiamateli ‘nigga’), consigliando di approcciarli con terminologie simpatiche come ‘giovanotto’. Il tutto avviene sempre e solo con il sorriso beffardo sulle labbra. La sensibilità per le persone mentalmente instabili è ai minimi storici, in quanto alla prima avvisaglia di persona ingestibile, la pattuglia chiama il cellulare (furgone blindato) e catapulta il malcapitato di turno all’interno. La quantità di situazioni e personaggi presenti (nonostante la durata superi di poco gli 80 minuti) è imponente, dove non mancano passaggi afferenti il razzismo e la situazione politica, interna ed estera, degli USA dell’epoca. Un interrogatorio che vede un poliziotto, reduce della guerra in Corea, ed un vagabondo, reduce dal Vietnam, la dice lunga su come queste tematiche erano predominanti e sentite nelle discussioni di fine anni ’60 tra la popolazione.
Un lavoro duro e crudo, non privo di abili analisi, apparentemente passive, da parte del suo regista, che documenta al meglio un periodo storico cruciale (e un’area geografica ben definita) degli Stati Uniti d’America di fine anni ’60. Fondamentale! VALUTAZIONE 4,5/5

H.E.