ME AND THE DEVIL (2019) di Dario Almerighi




Dopo l’esordio con il lungometraggio 42-66, un’opera estrema ma ancora troppo acerba sotto tanti punti di vista, il regista romano Dario Almerighi alza di parecchio l’asticella qualitativa con il suo nuovo lavoro ‘ME AND THE DEVIL’. Titolo emblematico che richiama alla memoria la celebre canzone blues di Robert Johnson, nella quale si narrava, proprio come accadrà in questo film, di un incontro con il diavolo in persona.
Il film segue le vicende personali di diversi personaggi, accomunati tra loro da esperienze di vita diverse sempre legate dalla violenza, passiva o attiva a seconda sei casi. Mario, un ragazzo traumatizzato dalla morte violenta della ragazza mentre campeggiavano all’aperto. Giada una ragazza ossessionata in maniera morbosa dai serial killer, cercando l’occasione giusta per emularli. Uno psicopatico e assassino seriale senza nome che ama torturare e scarnificare le vagine delle sue vittime femminili. E per ultimo un prete, consapevole della presenza sulla terra del diavolo, quest’ultimo un essere capace di prendere forma attraverso le malvagità umane. Proprio il diavolo apparirà, sotto un aspetto umano inquietante, forma per apparire per primo al povero Mario. I quattro personaggi presentati, finiranno per incrociare le loro strade in un unico percorso di sangue, dolore e redenzione, con la presenza del diavolo che aleggia minacciosa nell’aria ……<br> Se le scene estreme sono presenti in maniera misurata, la parte psicologica delle diverse personalità presenti finirà per prendere il sopravvento, mostrando per ognuno il proprio rapporto con il maligno e con il male che esso perpetua nell’apparente banale quotidianità macchiata però da beceri fatti di cronaca nera, sangue e dolore fisico e mentale. Tutti cercano un pace interiore, chi cerca di allontanare i rimorsi che logorano per non essere stato capace di difendere la propria amata, chi la cerca attraverso la tortura e morte altrui, chi attraverso un desiderio irrefrenabile di toccare il male con le proprie mani ed infine chi sa che solo attraverso l’uso del male si può sconfiggere chi manifesta sulla terra il volere di lucifero. Se da una parte sarà il diavolo in persona a tenere le fila e collegare tra loro i quattro personaggi diversi, un altro elemento destinato a trascinarli in un unico percorso salvifico sarà la solitudine che li pervade, che li costringe ad un’incomunicabilità forzata se on con l’io interiore più oscuro e negativo. Nella parte finale ritroviamo Almerighi più estremo, quello di 42-66, dove sarà la violenza a portare la tanto attesa purificazione e ricercata pace interiore, evidenziando così la passione per il cinema estremo da parte del regista oramai certificato. Regia essenziale, fotografia scarna ma efficace, dove le cromature blue elettriche e rosse infernali permetteranno di caratterizzare al meglio le atmosfere malsane presenti, attori più che convincenti e ottime scivolate nell’exploitation d’annata (compreso un bacio lesbo più che accattivante) permettono a questa pellicola di garantire ad Almerighi un ottimo punto di partenza per le sue prossime opere, non legate solo all’horror puro ma anche a quel cinema drammatico e disturbante che da anni sta spopolando nei circuiti indipendenti di tutto il mondo. Naturalmente non è tutto oro quel che luccica, in quanto la pellicola presenta alcuni passaggi nella sceneggiatura, soprattutto nella prima parte, troppo macchinosi e confusi, costringendo lo spettatore ad analisi fuorvianti e poco lucide sugli avvenimenti successivi. Tuttavia la parte finale è sicuramente quella più riuscita (assieme all’inquietantissimo attore che interpreta il diavolo), la quale riesce a spazzare via tutti gli elementi meno riusciti in precedenza. Un horror psicologico italiano più che consigliato! VALUTAZIONE 3/5

H.E.