MELANCHOLIA (2011) di Lars von Trier

Una delle opere più ambiziose, presuntuose, nichiliste e fataliste dell’immenso Lars von Trier, regista mai banale e dallo spessore artistico spesso eccessivo e provocatorio, è sicuramente MELANCHOLIA. Questo è il nome scelto di un pianeta (e titolo del film) prossimo a sfiorare, forse, la nostra terra. Un nome simbolico che indica lo stato psichico delle due protagoniste, due sorelle, di questa storia drammatico fantascientifica caratterizzata principalmente dai loro sbalzi, tristezza immotivata in una e ansia perenne nell’altra.
Il film è diviso in due parti: JUSTINE e CLAIRE.
Nella prima Justine si accinge a festeggiare il matrimonio nella villa di proprietà della sorella Claire e del marito John. Le cose però, complice la sua depressione e alcuni invitati poco inclini ai festeggiamenti, faranno sembrare il matrimonio più simile ad un funerale che ad una festa gioiosa. Tra i vari eventi di contorno, Justine si allontana più volte dalla festa. In uno di questo ‘allontanamenti spontanei’, la neo sposa si accorge che la stella Antares è misteriosamente scomparsa nel nulla. <br>Nella seconda parte, con la sorella Claire principale protagonista, seguiremo il dramma universale dell’avvicinamento minaccioso di un nuovo pianeta, battezzato Melancholia e apparso misteriosamente nella nostra galassia, attraverso le ansie e angosce della sorella di Justine. Quest’ultima, ancora fortemente depressa, decide di raccogliere l’invito di Claire e accetta di andare a vivere momentaneamente nella casa sua e di John.
La banalità dell’uomo, dei suoi rituali spesso stupidi e banali, creati per alleviare la sofferenza ineluttabile della sua esistenza sulla terra, finiscono per diventare sempre più insignificanti se filtrati attraverso una duplice visione, apparentemente diversa, come quella di due sorelle diverse tra loro (fisicamente ma soprattutto caratterialmente) accomunate tra loro da una sofferenza similare ma manifestata in maniera differente.
Spesso accade, semplificando il concetto mastodontico presente in questa pellicola imponente, che nelle famiglie numerose (e non solo), rancori, dissapori, invidie ed incomprensioni inevitabili, siano spazzate via e dimenticate quando un evento catastrofico o afferente la morte di uno del nucleo familiare arrivi all’improvviso. Incredibilmente la tragedia accomuna, unisce e guarisce ferite sentimentali apparentemente insanabili.
Lo stesso, in proporzione di un evento catastrofico gigantesco e destinato alla probabile distruzione totale, avviene in MELANCHOLIA, seguendo un percorso slegato ed incomprensibile a prima vista. Dove le verità assolute (scienza e fede) saranno destinate alla polvere e soprattutto dove la fusione tra depressione singola con quella universale troverà forse l’ultima luce di un’umanità destinata, in quanto insignificante, all’oblio.
MELANCHOLIA fa anche parte di un’ipotetica trilogia sulla depressione, dopo ANTICHRIST e prima del dittico NYNPHOMANIAC, rappresentando probabilmente un’unica gigantesca opera specchio della personalità contorta e geniale del suo autore. Il quale dimostra ancora una volta tutta la sua genialità e capacità di dirigere film in parte corali, caratterizzando al meglio, anche con pochi istanti, personalità singolari e forti (attraverso un cast di attori di altissimo livello e spesso ricorrenti nelle opere di Lars), espressione delle diverse umanità presenti in questo pianeta terra grande ma spesso limitato nelle sue rappresentazioni umane, a volte facilmente catalogabili per tipologia. Se la prima parte riporta alla memoria FESTEN, pellicola straripante ad opera di Thomas Vinterberg e tra le più efficaci del movimento DOGMA 95, la seconda racchiude tutto il cinema distruttivo, provocante e teso ad umiliare l’umanità, del regista danese. Evidenziandone i propri limiti, nonostante la propria storia, cultura ed arte (memorabile la citazione del dipinto Ophelia di John Everett Millais). Curiosamente lo stesso anno dell’uscita di questo film vide la luce un altro grande film che tratta tematiche e concetti similari a questo, pur percorrendo un diverso percorso estetico. Ovvero il CAVALLO DI TORINO di Béla Tarr. Una duplice visione catastrofica e mortificante sull’operato laborioso dell’uomo sulla terra attraverso i secoli (E pochi millenni), destinato probabilmente ad essere spazzato via in un secondo come un qualsiasi formicaio di fronte alla prima tempesta. Richiamando così i concetti sopra citati afferenti l’unione dell’uomo di fronte alla tragedia, cementificata dal dolore, mentre quando avviene per una festa, esempio il matrimonio di Justine, avviene solo di facciata e nascondendo al meglio le proprie debolezze ed insicurezze. Regia, fotografia, montaggio e recitazioni di primissimo livello, per un film da considerare, senza se e senza ma, uno dei capolavori del geniaccio danese Lars. Pellicola da visione obbligatoria! VALUTAZIONE 5/5

H.E.

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