MILANO CALIBRO 9 (1972) di Fernando Di Leo

 

MILANO CALIBRO 9, dopo quasi 5 decenni, mantiene ancora oggi inalterato il suo fascino, anzi sembra aumentare con il passare del tempo. Merito di una rivalutazione del cinema di genere in Italia iniziata a metà anni 90, grazie anche, ma non solo, dal più volte palesato apprezzamento del nostro cinema anni ’70 da parte di Quentin Tarantino, regista americano di fama mondiale, capace di catturare stilemi e caratteristiche di quel cinema, omaggiandolo in maniera intelligente nei suoi lavori e costringendo i più giovani, italiani e non, ad innamorarsi prima ed elogiare poi questo cinema stranamente sepolto e dimenticato dai media e cinefili italiani per tanti anni.
MILANO CALIBRO 9, primo capitolo della ‘trilogia del milieu’ di Fernando Di Leo (completata da LA MALA ORDINA e IL BOSS), rappresenta uno dei vertici del regista pugliese e non certo l’unico di spessore, in quanto nella sua filmografia figurano numerose perle assolute del poliziesco italiano e pellicole selvagge e controverse come AVERE VENT’ANNI del 1978.
In una Milano oscura, grigia ed opprimente, una consegna di valuta clandestina in dollari sparisce durante il passaggio di diversi corrieri. Mentre tutti i corrieri vengono torchiati e poi uccisi da parte di Rocco Musco, un gangster locale che opera per conti del boss soprannominato l’Americano, veniamo catapultati tre anni dopo gli eventi narrati nei minuti iniziali della pellicola, seguendo l’uscita dal carcere di San Vittore di Ugo Piazza. Braccato subito da Rocco e da altri scagnozzi, scopriremo che Ugo Piazza è stato accusato di aver rubato tale spedizione, di ben trecento mila dollari, in quanto lo stesso giorno si era fatto catturare dalla polizia per una rapina maldestra. Se Ugo Piazza lotta per dimostrare la sua innocenza, il coinvolgimento nella storia di sue due vecchie conoscenze, un boss in pensione ed un killer su commissione, finirà per scatenare un conflitto a base di piombo ……..
La forza ed il fascino di questa pellicola risiede in molteplici fattori, coniugati perfettamente tra loro e difficilmente riproducibili successivamente, anche dallo stesso Di Leo. Prima di tutto una visione tenebrosa, soffocante e costantemente pericolosa di una Milano plumbea e tenebrosa, dove anche le visioni diurne trasmettono sensazioni di pericolo imperniate su malaffare e denaro sporco, in quanto la malavita non teme di uccidere nemmeno in pieno giorno con l’utilizzo di bombe esplosive (“controlla se nel pacco c’è tutto ….. c’era tutto”, una delle tante celebri frasi, destinate ad essere felicemente memorizzate, ad opera di Rocco). Secondo, una colonna sonora, di Luis Bacalov con la collaborazione del gruppo rock progressive Osanna, che sin dai secondi iniziali finirà per catturarci e farci innamorare del tema musicale principale della pellicola, onnipresente in forma diversa nei momenti cruciali. Terzo, la completa caratterizzazione dei protagonisti primari e secondari, attraverso recitazioni di livello assoluto e personalizzazioni caratteriali e fisiche destinate a diventare icone assolute del cinema noir italiano. Dal freddo e calmissimo Ugo Piazza (un Gastone Moschin immenso) al focoso e vulcanico Rocco/Mario Adorf (doppiato magistralmente da Stefano Satta Flores), dalla bellissima e scaltra ballerina Nelly Bordon (‘innamorata’ di Ugo ed interpretata da una Barbara Bouchet in stato di grazia) al roccioso boss l’Americano (Lionel Stander), senza dimenticare l’ottima interpretazione di Chino, personaggio per nulla secondario ai fini della storia, da parte del francese Philippe Leroy, un killer mosso da particolari principi etici vincolati al mondo criminale.
Nulla avviene per caso nel corso della pellicola, nemmeno la costante presenza di personaggi secondari in apparenza inutili ma fondamentali per la chiusura del cerchio finale.
Costellato da numerose celebri frasi, come quella del vecchio boss non vedente sulla (non) mafia milanese, anche non raggiungendo la violenza selvaggia di altre pellicole cult di quegli anni (come ‘MILANO ODIA: la polizia non può sparare’ di Lenzi e ‘CANI ARRABBIATI’ di Bava) e lontano dai fasti splatterosi di LUCA IL CONTRABBANDIERE di Fulci, alcune sequenze estreme cult non mancano, una su tutte la tortura con la lama di rasoio da parte di Rocco nei minuti iniziali. Tutti i diversi elementi citati e elogiati, servono per creare un mondo criminale destinato a diventare sempre più barbaro e privo di regolo d’onore, ricordate con nostalgia più volte da Chino e Don Vincenzo, destinato a briciare chiunque e simboleggiato dall’ultimo frame della pellicola attraverso una sigaretta bruciata ma ancora piena di cenere.
Menzione speciale per il titolo estremamente accattivante e ripreso dalla raccolta omonima di racconti dello scrittore Giorgio Scerbanenco.
MILANO CALIBRO 9 è un capolavoro del genere noir, un film unico del nostro cinema e divenuto, con merito, un cult assoluto apprezzato giustamente anche oltre confine ancora oggi. Un vero e proprio ‘film della vita’, da amare nonostante alcuni, evitabili e non troppe rilevanti ai fini della storia, dibattiti politici tra il commissario di polizia ed il suo vice (eravamo comunque in epoca dove la lotta politica era alquanto vivace, anche con colpi ‘illeciti’ a base di piombo). Pur non essendo una pellicola propriamente estrema (nell’estetica ma lo è senza dubbio nei contenuti) MILANO CALIBRO 9 merita, senza esitazione alcuna, il massimo dei voti …. VALUTAZIONE 10 e lode!

H.E.