NEKROMANTIK (1987) di Jörg Buttgereit

L’amore necrofilo, ai tempi della BRD. Questa è storia alla base della sceneggiatura, che nella sua malsana semplicità, narra le vicende di Rob, un ometto insignificante e della sua compagna Betty, interpretata da una giovanissima Monika M.
La quotidianità della coppia si snoda nel loro piccolo appartamento nella periferia berlinese e lungo strade semi abbandonate. Grazie infatti al suo lavoro di recupero cadaveri, l’uomo riesce giornalmente a sottrarre dei piccoli trofei da mettere sotto formalina. Una passione questa condivisa anche dalla giovane moglie che tra feti e lingue gioca con le parti del corpo mancanti in una strana, quanto macabra, danza dell’orrore.
La loro vita di tutti i giorni viene però interrotta dall’arrivo di un cadavere intero, che metterà a dura prova il rapporto già precario tra i due,
Buttgereit dopo una serie di cortometraggi e documentari firma la sua pellicola più conosciuta. Nekromantik infatti è una pura quanto indiscussa dichiarazione d’amore al cinema indie, che omaggia il “Buio Omega” di Joe D’amato e il misconosciuto “Love Me Deadly”, uscito in Italia con il titolo: “La necrofila”, di Jacques Lacerte.
La pellicola del regista teutonico è graficamente grezza, malsana e scomoda, non solo perché tocca un tema scottante come quello della necrofilia, ma si sposta simbolicamente su più livelli narrativi.
I simbolismi presenti nel film mostrano una Germania ormai allo sbando, in cui i sogni di onnipotenza hanno lasciato spazio ad una timida apertura verso un capitalismo americano creatore di mostri, emblematica è la foto di Charles Manson appesa al muro.
Un altro dettaglio che si ripete più volte nella narrazione è l’adesivo collocato sul retro del furgone della società di recupero. Tale icona infatti ricorda nella forma il “Totenkopf” presente sui berretti della SS-Panzerdivion.
Sottinteso, ma quanto mai presente è anche il richiamo all’Anatomia della distruttività umana di Fromm e la non scissione tra biofilia e necrofilia presente in ognuno di noi. E’ interessante pensare a come oggi la specie dominatrice del mondo si trovi a raccoglie i suoi stessi cadaveri, non più vittime della guerra ma della società stessa.
Tutto questo viene raccontato con uno stile che si muove tra il documentaristico e l’espressionismo tedesco del Die Brucke. Una pellicola fondamentale che ha aperto la strada a film più recenti come “Melancholie Der Engel” e “Carcinoma” di Marian Dora.
Un lungometraggio questo che ha raggiunto con gli anni lo stato di cult per gli amanti dell’eccesso e del cinema estremo. A merito o a ragione Nekromantik resta una opera malsana e inquietante, che nonostante il passare dei decenni non perde la sua forza espressiva. VALUTAZIONE 8,5/10

Review by Christian Humouda