Prima o poi nella vita si arriva alla consapevolezza dei nostri limiti. Tra questi uno dei più disarmanti è quello afferente le felicità affettive, rese inermi soprattutto dalle colpe del nostro egoismo e del forsennato desiderio di essere al centro dell’universo a tutti i costi. Carlos Reygadas, regista messicano tra i più significativi e talentuosi della nostra generazione, porta questo sottile pensiero all’esasperazione scendendo in campo nel ruolo del sofferente protagonista di questa storia, caratterizzata da sensazioni ed esperienze immersive all’interno di una coppia, dove lui rappresenta un sole malato e i satelliti che lo circondano, la moglie (interpretata dalla bellissima Natalia López, sua compagna anche nella realtà) e tutti gli altri, rischiano seriamente di finire alla deriva proprio per le sue scelte scellerate, malate e deviate dal suo ego infetto di auto controllo.
Una famiglia vive nella campagna messicana allevando tori da combattimento. Esther è responsabile della gestione del ranch, mentre suo marito Juan, un poeta di fama mondiale, alleva e seleziona i bovini. Sebbene entrambi vivono in un matrimonio aperto, che non esclude piccole scappatelle solo per sesso, la loro relazione inizia a sgretolarsi quando Esther si innamora di un cowboy americano e Juan non è in grado di controllare la sua gelosia, accentuata dalla bugie della moglie …….
Cinema presuntuoso nella sua estetica sospesa e faticosa da assimilare (tre ore piene di durata non sono poche) ma, proprio per questo, capace di scavare con decisione nell’animo più nascosto dei suoi protagonisti ed in contemporanea in quello degli spettatori, piacevolmente rapiti da una storia in apparenza semplice che nasconde, per fortuna, una moltitudine di insidie e sotto testi sull’amore, la felicità e la fiducia impossibili da descrivere in maniera superficiale. Quanto siamo usati dalla persona che amiamo? O meglio, quanto siamo usati perché il nostro partner raggiunga lo scopo e l’obiettivo che lo renda migliore? la superficie di visioni ad ampio respiro, prima con il figlio della coppia assieme ad i suoi amici, intento a vivere un’adolescenza di amori sinceri e senza secondi fini, e parallelismi visivamente scioccanti con protagonisti tori inferociti (con una scena horror che ricorda stranamente LO SQUALO di Spielberg ….. da vedere per credere), servono per ricollegarsi a concetti ben presenti in precedenza nella filmografia di Reygadas, dove la natura umana sembra figlia di quella selvaggia e primordiale presente sin dall’alba dei tempi. Impossibile da dominare e gestire attraverso un’illusoria capacità di controllo forzato. Ogni tentativo è destinato al fallimento, peggio ancora quando queste forzatura finirà per far perdere al bussola sui valori che portano alla felicità genuina dell’infanzia. Reygadas, per rendere al meglio queste tre porzioni, mostra i desideri umani attraverso luci diverse. la passione sessuale della moglie va a scontrarsi con il voyeurismo di Juan, foglio di un legittimo quanto necessario desiderio di ispirazione perversa per creare le sue poesie. Un patto quasi diabolico che finirà per vendere la sua anima, resa nuda quando, attraverso una liberazione della sua fragilità umana, si renderà conto confrontandosi con un amico in fin di vita (felice dell’amore sincero che lo circonda quotidianamente), di aver perso quel binario per raggiungere una gloria materiale che poco ha a che fare con la felicità più vera e soprattutto l’amore più sincero.
NUESTRO TIEMPO è un riflesso disarmante, destabilizzante e a tratti anche bizzarro sulla nostra natura umana. Maledettamente imperfetta, contorta e pericolosa quando la tentazione forzata di dominarla (attraverso un controllo dell’infedeltà come in questo caso) ed imprigionarla ad ogni costo (attraverso un percorso di stabile felicità illusoria) implode come un vulcano sotterraneo, che nasconde in superficie (e quindi all’occhio umano) le proprie eruzioni ma nell’oscurità più profonda della terra sprigiona la sua vera natura. VALUTAZIONE 4,5/5
H.E.
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