ONE HOUR PHOTO (2002) di Mark Romanek

Quanto alcuni film rappresentino un’epoca e soprattutto le annesse caratteristiche spesso viene sottovalutato o, ancora peggio, considerato irrilevante. Lo stesso vale per alcuni attori, come il grande e compianto Robin Williams, capace di creare, in uno dei pochi film realizzati da Mark Romanek, la rappresentazione più amara e triste della figura confusa di uno sociopatico nei primi anni 2000. Quale migliore figura se non quella di un lavoro in via d’estinzione, a causa della velocità frenetica della tecnologia, di uno sviluppatore di fotografie analogiche, per analizzare un contesto contemporaneo sempre più invisibile di particolari considerati poco significativi, come ad esempio una persona ferita irrimediabilmente da un passato oscuro e impossibile da curare. Seymour, detto ‘Sy’, è un uomo che lavora con estrema passione in un negozio di fotografia di un grosso centro commerciale. La facciata di persona mite e dedita solo al lavoro nasconde, nelle segrete stanze del suo appartamento, una sinistra ossessione per una famiglia, gli Yorkin, composta dai due genitori ed il loro figlio Jake, i quali hanno l’abitudine, da anni, di portare le loro foto a sviluppare proprio nel negozio dove lavora Sy. Quest’ultimo, oltre alla collezione segreta delle foto di famiglia, fantastica continuamente di essere anche lui parte di quella famiglia, nei panni di un fantomatico zio amatissimo dal nipote. Una serie di circostanze, tra cui il direttore del centro commerciale che lo ha presi di mira, porteranno Sy a cercare di intrecciare la realtà con questa sinistra ossessione. Quando lo spettro del licenziamento associato alla scoperta di un segreto della famiglia Yorke, porterà Sy sull’orlo del precipizio e lo costringerà ad un folle ed insensato gesto estremo .. Una delle prove recitative più sorprendenti e sbalorditive di un attore nato comico e capace di interpretazioni drammatiche superlative (basta citarne una, quella di LA LEGGENDA DEL RE PESCATORE), la quale, dopo quanto accaduto con la sua scomparsa (avvenuta per suicidio), offre ad una visione successiva di una luce ancora più amara, triste e sofferente. Quasi un grido d’aiuto inascoltato che appare proprio come un sinistro parallelismo tra vita reale e finzione. Tutto il film, non poteva essere altrimenti, ruota vertiginosamente attorno alla figura lesionata nell’animo di un uomo rimasto bambino non per scelta propria, come scopriremo alla fine, bensì di altri, i quali non hanno esitato a rubargli, senza condizioni, il futuro. Sarà proprio la fotografia, con un la quale vive un rapporto complesso di amore e odio, a rappresentare l’unica ancora di salvezza verso un mondo felice mai conosciuto ma ossessivamente desiderato, che finirà per entragli nella testa in maniera autodistruttiva. ONE HOUR PHOTO è una delle migliori fotografie (e non è solo un gioco di parole) di una generazione consumistica, frenetica e moralmente imbarazzante, esplosa con il nuovo millennio, dove si può accedere, in maniera illusoria, a tutto, finendo però per lasciare indietro errori e paure insanabili e impossibili da curare. Un dramma a tinte forti, con una chiusura del cerchi per nulla prevedibile e fuori dagli schemi del classico thriller psicologico, che riesce a regalare tensione ma anche sinistre riflessioni sul nostro presente destinato a diventare immediatamente uno scomodo ed obsoleto passato! Filmone! VALUTAZIONE 4/5

H.E.

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