PORCILE (1969) di Pier Paolo Pasolini

‘Ho ucciso mio padre, mangiato carne umana …. tremo di gioia.”Dopo TEOREMA Pasolini torna a focalizzare la sua attenzione sulla famiglia, borghese ma non solo, specchio inesorabile dei conflitti sociali e generazionali del secondo dopoguerra e sfociati nelle manifestazioni vibranti degli anni ’60. Per farlo questa volta attraversa confini estremi che ritroveremo nel suo lavoro più celebre, osannato e criticato, ovvero ‘SALO’ O LE 120 GIORNATE DI SODOMA’ del 1975, uscito postumo alla sua morte, avvenuta lo stesso anno. Due storie parallele, lontane per tempi, spazi e luoghi ma che partono sempre dal medesimo rapporto conflittuale e ribelle ‘padre figlio’ e che sfociano in direzioni diverse, opposte ma entrambe estreme malsane e contro natura. Una nel cannibalismo e l’altra nella zoofilia. Due fughe ribelli e contro corrente, dove nella prima, ambientata nel 1550 alle pendici dell’Etna, un uomo in fuga non esista a uccidere e cannibalizzare le sue vittime, finendo per raccogliere attorno a sé altri uomini in fuga. Nella seconda invece siamo nella opulenta Germania degli anni ’60, dove Julian, un ragazzo figlio di un ricco industriale nostalgico dei bei tempi andati del Nazismo, sembra essere più attratto dai maiali del porcile vicino che dalla sua bella fidanzata. In entrambi i casi i percorso che li porterà alla redenzione non sarà per nulla piacevole. Due storie esteticamente e dal punto di vista narrativo estremamente differenti, intelligentemente anticipate da didascalie incise sulla pietra, atte a rappresentare una memoria necessaria per il nostro presente. Quasi priva di dialoghi quella ambientata nel 1500, eccessivamente fitta di dialoghi graffianti, taglienti e spesso grotteschi quella ambientata in Germania Ovest. In quest’ultima brillerà l’incontro bizzarro tra il ricco industriale Herr Klotz, padre di Julian, e Herdhitze (Un fenomenale come sempre Ugo Tognazzi), un conformista ex nazista che ha cambiato volto grazia alla chirurgia plastica. Un incontro mediato saggiamente da Hans Guenther, interpretato da un graffiante e acuto Marco Ferreri. Metafore e parallelismi si sprecheranno (Nazismo, ebrei, morale borghese, il potere, la negazione del passato e degli errori commessi). Sarà proprio uno di questi corposi dialoghi che permetterà a Pasolini di esprimere il suo concetto di ribellione necessaria e inevitabile dei figli ai propri genitori, un riflesso inevitabile di quella anti comunista berlinese, che a sua volta riflette quella anti fascista e nazista in tempo di guerra. Uno scontro destinato quindi a ripetersi sempre, alimentato dall’indifferenza dei padri nei confronti dei propri figli, i quali non sempre sono contro a favore o contro ma spesso prendono semplicemente direzioni diverse da quelle prese dai propri padri. Concetto riproducibile facilmente con le continue nuove generazioni, obbligate ad andare contro al sistema per non rimanerne fagocitate ed imprigionate, proprio come quel porcile presente nel titolo e nel film. Cannibalismo, zoofilia e violenza estrema (con del gore bello peso per l’epoca), saranno mostrati e narrati in tutto il loro splendore, anticipando quell’estetica eccessiva ed estrema che tornerà prepotente nel succitato ultimo lavoro di Pasolini. Un capolavoro immortale del nostro cinema! Da visione obbligatoria … oggi più di ieri! VALUTAZIONE 5/5

H.E.