THANATOMORPHOSE (2012) di Éric Falardeau

Il primo (e unico) lungometraggio del canadese Éric Falardeau rientra in un filone alquanto prolifico e ricco del ‘genere’ estremo che abbraccia il body horror ed il dualismo tra eros e thanatos, dove per censurare la morte si necessita morbosamente di rischiare la propria vita lungo un precipizio che si affaccia sull’auto distruttiva. Il body horror, sotto genere che ha trovato in David Cronenberg il suo maestro assoluto, ha spesso messo al centro della scena da 25 anni a questa parte la figura femminile, da SAFE a DANS MA PEAU, da STARRY EYES a EAT fino a CONTRACTED, pellicola statunitense con la quale THANATOMORPHOSE ha diversi punti di contatto, nonostante le pellicole, per dinamicità ed evoluzione, finale, siano differenti sotto diversi aspetti psicologici e non solo. Laura, una studentessa universitaria d’arte che conduce una vita apparentemente banale, monotona e priva di entusiasmo, si è trasferita da poco in un nuovo appartamento, dove fa capolino il suo ‘ragazzo’ che la usa come un vero e proprio oggetto. Un giorno, improvvisamente e senza preavviso alcuno, si accorge che qualcosa nel suo corpo sta cambiando, prima con dei strani lividi e poi con alcune avvisaglie di piccole scarnificazioni alle unghie delle mani. Convinta che si tratti di un malessere passeggero, cerca di curarsi con i soli medicinali che ha in casa. Purtroppo per lei il proprio deterioramento fisico galoppa velocemente, trascinandola in un processo irreversibile e allucinogeno di autodistruzione corporea senza ritorno ….. Diviso in tre atti, (Despair, Another e Oneself, alquanto significativi per quanto concerne la mutazione di Luara), THANATOMORPHOSE, termine francese derivato dal greco, segue anche e soprattutto il significato della parola stessa, ovvero ‘i segni visibili di un organismo in decomposizione causati dalla morte’. Una devastazione corporea che seguirà in parallelo quella pulsione sessuale, stimolata continuamente da oggetti e visioni nell’appartamento (come ad esempio una crepa vaginale sul muro) cercata con insistenza ma mai veramente trovata, citata in precedenza e che farà costantemente a pugni con la morte per cercare, fallendo, di non soccombere ad essa. Se i punti di forza della pellicola saranno gli effetti speciali artigianali (tra i migliori del cinema indie del decennio scorso) che richiamano i primi lavori di Cronenberg e Buttgereit ma anche dell’indipendente Brian Paulin, la pellicola soffrirà non poco di momenti confusi e trascinati fino alla nausea, dove la lentezza, se in alcuni passaggi appare come un pregio, rischierà di annoiare parecchio lo spettatore oramai avvezzo ad un ritmo più dinamico ed evolutivo a 360° dei protagonisti contemporanei di questa pellicola. Forse quella che maggiormente sembra avere un legame speciale con questa è il messicano HALLEY di Sebastián Hofmann, lenta, decadente e mortificante come questa ma dove il protagonista è un uomo ‘morto incapace di morire’. La confusione, che avvolgerà in parte buona parte della pellicola e il destino di Laura, svanirà nel finale, dove la chiave della sua misteriosa decomposizione autodistruttiva troverà una lucida spiegazione a quanto visioneremo un ultimo atto liberatorio e lucido su cosa possa aver scatenato questa delirante putrefazione corporea. Un film, lontano dalla perfezione (anche perché elogia l’imperfezione fisica e mentale), destinato a pochi ma che tutti, anche chi lo boccerà senza appello, devono assolutamente visionare! VALUTAZIONE 3/5

H.E.

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