TOO OLD TO DIE YOUNG (2019) di Nicolas Winding Refn

Un poliziotto destinato a trasformarsi in un calmo giustiziere di orchi, una sacerdotessa messicana, una veggente, un’anima vagante destinata a pulire il mondo dai demoni, un predestinato alla distruzione di mondi assetato di vendetta, un artista cinico con una figlia priva di valori. Questi, ed altri criminali privi di luce interiore, sono i principali attori e artefici di un universo criminale che spazia tra Messico e Stati Uniti, dove il desiderio di trasformarsi in divinità estreme e malvagie al di sopra della legge degli uomini, finirà per incrociare e ‘sistemare’ tutti i personaggi sopra citati in un puzzle incompleto ma inevitabilmente colorato di sangue al profumo di zolfo e con l’ombra della morte, o meglio della ‘Sacra Muerte’, che aleggia sempre nell’aria, statica ma pronta ad accendersi improvvisamente in un fuoco di dolore e devastazioni corporee.
Uno dei registi più determinanti ed influenti nel panorama cinematografico mondiale degli ultimi due decenni, Nicolas Winding Refn, autore dal stile oramai inconfondibile e facilmente riconoscibile, si cimenta per la prima volta in una serie di 10 episodi (targata Amazon), destinata a dividere e sorprendere ammiratori e detrattori del regista danese, in quanto nulla di quanto realizzato fino ad ora da parte sua può paragonarsi ad un lavoro di così ampio respiro e di larga visione come questa opera artistica prima di tutto.
La trama di base è di per sé molto semplice. Il poliziotto Martin, dal recente passato poco pulito e collegato alla malavita locale di L.A., viene promosso a detective poco dopo aver assistito alla morte del suo collega. Nel corso della sua prima indagine da detective viene a conoscenza di un’associazione segreta che giustizia pedofili che sfuggono alla legge convenzionale degli uomini. Decide così, forse perché si rende consapevole di non provare emozioni particolari nell’uccidere le persone, di affiancare questa strana società senza nome e di uccidere pedofili e torturatori. Passato il confine seguiamo Jesus, un boss in ascesa orfano della madre, deciso però a vendicare la morte di lei avvenuta in terra americana. Ad affiancarlo Yaritza, una giovane donna misteriosa giunta dal deserto e che si prende cura dello zio di Jesus, un boss del cartello prossimo alla morte. Il ritorno negli Stati Uniti di Jesus ed il percorso di giustiziere da parte di Martin, finiranno per incrociarsi inevitabilmente, in quanto legato uno all’altro da un tragico evento del passato di uno dei due ……
Nicolas Winding Refn trascina e trasporta in questa serie tutto il cinema che ha sempre amato e che lo ha influenzato sin dagli esordi. Non solo l’estetica dai colori accesi ed eccessivi del cinema giallo italiano degli anni ’70, ma anche e soprattutto quel cinema di Alejandro Jodorowsky, dove la magia e le superstizioni messicane hanno caratterizzato il lavori dal forte impatto estetico del regista messicano. Mai come in questa serie si nota un continuo omaggio alle figure, soprattutto femminili, del cinema di Jodorowsky. Se l’atmosfera mistica e magica sarà perenne, altrettanto lo sono le figure criminali, onnipresenti e sempre centrali, quasi a rappresentare un equilibrio inevitabile tra i due paesi mostrati nel corso dell’opera, Messico e Stati Uniti. Due paesi che affondano le sembrano affondare entrambi le radici in un male profondo e storico destinato a presentare sempre il conto e trovare sfogo attraverso nuovi discendenti, che siano americani o messicani. Pur mantenendo un ritmo mai frenetico, anzi calmissimo, la serie prosegue nel suo incedere cercando di narcotizzare dolcemente lo spettatore arricchendolo di frangenti ironici e bizzarri che finiranno per far sorridere e rendere quanto mai gradevole la visione. Dagli aneddoti, ripetitivi , del vecchio boss messicano su Pelé ai demenziali colleghi della polizia di Martin, senza dimenticare il futuro suocero dello stesso, un artista dal tic gutturale interpretato con carisma da un William Baldwin bollito solo in apparenza. Per quanto concerne la componente estrema, dobbiamo tirare le orecchio al grande Refn, in quanto alcuni fuori campo eccessivi, ci privano di succulente sequenze estreme, immaginate solo, che in passato hanno impreziosito di parecchio e reso grandi i suoi lavori. In particolare mi riferisco alla sequenza finale dell’ottavo episodio, la quale poteva essere qualcosa di assoluto e gigantesco per una serie in parte innovativa come questa. Superfluo sottolineare la sontuosa colonna sonora di Cliff Martinez, nella quale troveranno spazio brani a dir poco dirompenti e di contrasto al ritmo poco dinamico di Refn, la regia perfetta di quest’ultimo (a tratti forse più simile allo spot pubblicitario HENNESSY X.O: Odysseye sempre opera del regista danese) e l’ottima recitazione di tutti gli attori, protagonisti primari e secondari presenti, dove spicca senza dubbio quella della faccia storta di John Hawkes nei panni dell’ex FBI Viggo, un’anima contorta e tormentata che risulterà essere l’altra faccia della medaglia della serie, rappresentata dalla bellissima e letale sacerdotessa della morte messicana.
Una serie da amare, forse a prima vista incompleta nella parte finale (in particolare gli ultimi due episodi), dove l’ombra del cinema di David Lynch (e forse anche dei fratelli Coen) sembra spuntare all’improvviso. Il male presente ed onnipresente nell’uomo, e nelle forme magiche e oscure che lo rappresentano, ha trovato forme e luce, rigorosamente al neon, in questa nuova, strana creatura di video arte estrema, cime e surreale, marchiata a fuoco dallo stile da mare fino all’inverosimile di uno dei registi estremi più amati e glorificati della nostra generazione! Promossa con lode! VALUTAZIONE 4,5/5



H.E.