WE NEED TO TALK ABOUT KEVIN (2011) di Lynne Ramsay

Esistono film perfetti anche ai giorni nostri e non solo nel cinema del secolo scorso, come questa pellicola stellare ad opera di una regista non prolifica (esce quest’anno il suo quarto attesissimo lungometraggio, a quasi vent’anni dal suo primo lavoro) ma dannatamente efficace nel mostrare gli angoli più oscuri e nascosti dell’animo umano.
WE NEED TO TALK ABOUT KEVIN è, ad oggi, il suo capolavoro indiscusso e forse il migliore dramma disturbante del decennio attuale, in grado di coniugare difficili, se non impossibili, rapporti familiari delicati a tematiche scottanti, in particolare negli USA; come le stragi scolastiche (con annesso post-strage e rapporti complicati con i parenti delle vittime e l’opinione pubblica).
Il film segue, con due linee temporali differenti ma parallele il rapporto nel presente e nel passato di Eva, una donna armeno-americana, e di suo figlio Kevin, in diversi archi temporali della vita di quest’ultimo. Il concepimento in primis, poi il Kevin neonato, bambino, fanciullo ed infine adolescente e prossimo all’età adulta. Un rapporto di odio e sfida continuo porterà allo sfinimento la povera Eva, costantemente provocata da un figlio forse mai desiderato, che piange di continuo nel periodo neonatale e dove una misteriosa barriera tra i due non ne permette la comunicazione e la relazione naturale madre-figlio. Il marito di lei e padre di Kevin, Franklin, appare come il classico omuncolo senza palle, cieco ed inconsapevole dell’immane tragedia destinata a consumarsi prima o poi, al contrario di Eva, la quale ha sempre avvertito il ‘maligno’ nello sguardo dello strafottente figlio. A complicare i rapporti già delicati in famiglia l’arrivo di una sorellina per Kevin, probabile alimentazione di un fuoco malvagio impossibile da spegnere. Se il punto di rottura è intuibile, grazie a numerosi e disturbanti flashback, il presente, avaro di felicità per Eva, è sepolto da un mare di pregiudizi, di sguardi che feriscono più di una lama e di un senso di colpa che pesa nello stomaco più di un macigno, dove l’unica domanda possibile “PERCHE’?”, appare destinata a non trovare alcuna risposta.
Andare oltre sulla trama o cercare di descriverla in maniera dettagliata toglierebbe lustro ed efficacia all’ottima sceneggiatura del film, dove l’unica critica possibile è di non essere stata fedele al romanzo al quale si è ispirata ad opera di Lionel Shriver. Consapevoli dell’impossibilità di paragonare due opere d’arte differenti, non possiamo sminuire un film che ci strappa l’anima, non solo nel finale disturbante, ma anche grazie ad un intreccio perfetto dei due periodi temporali succitati, destinati a creare una storia coesa e durissima che colpisce con impatto devastante per dolore, compassione e rabbia provocata.
Se il ruolo più difficile del mondo è quello del genitore, l’attrice androgina Tilda Swinton sforna la prova della vita nei panni di Eva e consolida tale affermazione. Non meno efficace la prova recitava di Ezra Miller nei panni del Kevin adolescente, antipatico fino al midollo. Due facce della stessa medaglia dove il destino non ha permesso nessun punto di contatto ma l’una sopravvive ed esiste grazie all’altra. Questo è il cuore doloroso (trafitto dall’arma di Cupido) e l’anima ferita (per amore inesistente) di WE NEED TO TALK ABOUT KEVIN, il ‘sequel’ ideale di ROSEMARY’S BABY di Polanski. Perché il diavolo non ha la coda o le corna, ma un sorrisetto da schiaffi ed un’aria saccente. Regia, musiche, fotografia e recitazioni, non solo dei due protagonisti, di livelli altissimi per un film distruttivo e sconvolgente destinato a ritagliarsi un posto di prestigio nella storia del cinema di qualità! VALUTAZIONE 5/5

H.E.